26 Apr 2024
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Covid-19 / Rilanciare la medicina territoriale

Intervista a Giorgio Barbieri, responsabile Fp Cgil MMG della Lombardia: “L’intera regione è un focolaio. Aiuterebbe capire chi ha già avuto il virus e si è immunizzato”

20 apr. – Lasciati per troppo tempo ‘scoperti’ contro il Covid-19, molti medici di base sono rimasti contagiati dal virus, molti altri sono purtroppo morti, e la medicina territoriale sta facendo come può per supportare le persone e per resistere. Mentre gli ospedali sono andati vicini al collasso. Giorgio Barbieri, studio di medicina generale a Limbiate, responsabile regionale MMG per la Fp Cgil Lombardia, dopo l’autodenuncia all’Ats Brianza come sospetto positivo al virus (in assenza di tamponi) e la quarantena, è tornato a lavorare nel suo ambulatorio.

Ci vengono segnalati casi di persone tenute a casa per 14 giorni per via di sintomi riconducibili al virus o perché entrate in contatto con una persona Covid+, o perché conviventi con un positivo dimesso dall’ospedale ma non ancora guarito. A nessuno di questi casi viene prescritto il tampone. Come si stanno comportando i medici di base? “Cerchiamo di usare il buon senso. Si tratta di una nuova malattia: non sappiamo ancora per quanto tempo si resta contagiosi. Intanto, distinguiamo i casi clinicamente positivi, seppure senza tampone,  da quelli asintomatici che, entrati in contatto con  Covid accertati, sono da considerarsi verosimilmente portatori. L’indicazione è di mantenere i primi in convalescenza per 14 giorni dalla fine dei sintomi e i secondi in osservazione per lo stesso periodo di tempo, infine di riammetterli in comunità senza tampone di verifica. Da settimane segnaliamo che è rischioso affrancare dall’isolamento soggetti ancora potenzialmente contagiosi e insistiamo perché siano sottoposti a tampone. Solo in sub-ordine chiediamo almeno la precauzione di allungare i tempi di isolamento, fino a che non sarà noto il periodo di contagiosità. È di queste ore – aggiunge Barbieri – l’indicazione di sottoporre a tampone (unico), prima di riammetterli al lavoro, i lavoratori impiegati in aziende autorizzate o in via di autorizzazione. Purtroppo è un’operazione alquanto parziale dal punto di vista dell’igiene pubblica o epidemiologica. Di fatto si valuta esclusivamente chi può tornare a produrre. E qui mi chiedo come mai questa operazione di screening sia stata affidata ai medici di medicina generale, con spese a carico del SSN, e non ai medici competenti delle stesse aziende”.

Perché si fanno così pochi tamponi? “Preciso: se ne fanno così pochi in Lombardia, non è così ovunque. Un tampone costa circa 25 euro, inclusi strumenti, materiali, operatori. Non mancano i biologi, non mancano gli strumenti, non mancano i soldi. Mancano i reagenti… In Germania sfornano 500.000 tamponi a settimana, e intendono passare a 1.500.000. In Lombardia l’assessore Gallera sostiene di non aver potuto finora processare più di 5000 tamponi al giorno. Se a febbraio, a fatica, poteva ancora essere tollerabile la mancata programmazione di acquisti e scorte adeguate, è francamente inaccettabile che nella seconda metà di aprile la Lombardia, traino dell’economia italiana e con la ‘sanità d’eccellenza’, non sia ancora in grado di produrli questi reagenti. Nessuno ha pensato di chiedere alle industrie del farmaco lombarde?”.

Le Agenzia di tutela della salute cosa dicono? “In Ats possiamo talvolta incrociare dirigenti di qualità ma se le direttive regionali sono di basso livello, cosa vuoi che possano dire… Certo, nelle diverse Ats lombarde osservo una bizzarra variabilità nel tradurre in pratica le direttive regionali. Il che aggiunge confusione a confusione”.

Che responsabilità addebiti a Regione Lombardia? “Di non aver gestito il problema. Il Veneto è stato quantomeno proattivo. Da noi si sono comportati da burocrati, attenti solo a distribuire il più lontano possibile le responsabilità. Emblematico il caso della mancata “zona rossa” in Val Seriana. Certo, questa Giunta ha ereditato una sanità territoriale devastata dalle politiche del ventennio formigoniano. Affrontare solo negli ospedali un problema di sanità pubblica, invece che attraverso una rete capillare, ha creato nuovi focolai e il rilancio della malattia, nonostante i titanici sforzi dei colleghi che operano nelle strutture.
Sorvolo sulla delibera con la quale Regione ha proposto alle RSA di accogliere pazienti COVID+. Ritengo il tema competenza della Magistratura”.

I medici di base non possono prescrivere il  tampone.  Come se ne esce per garantire la sicurezza alle persone e alla collettività? “Non se ne esce. Il tampone era uno strumento fondamentale quando ancora si potevano isolare i focolai. Temo ormai sia estremamente ridotta l’efficacia di uno screening di massa, essendo verosimile la stima tra 1/5 e 1/4 di lombardi positivi. In questa fase servirebbe incrociare tamponi e test sierologici, che si spera l’Agenzia del Farmaco si sbrighi ad autorizzare. Ormai non esistono focolai da cercare e da spegnere. L’intera regione è un focolaio. Aiuterebbe invece capire chi ha già avuto il virus e si è immunizzato. L’unica alternativa realistica è continuare a limitarsi all’osservazione del naturale evolversi della situazione. Ovvero, alla selezione naturale. Il solo pensiero fa rabbrividire”.

Rispetto alla ‘fase 2’ cosa dici?  “ Sarà necessario, questa volta, un lavoro capillare sul territorio per individuare e isolare immediatamente i nuovi casi che, inevitabilmente, si presenteranno. È alto il rischio di una seconda ondata autunnale. Se questo virus, come molti altri, mostrasse una stagionalità, potremmo trovarci in guai seri laddove dovesse sovrapporsi al periodo delle abituali bronchiti, broncopolmoniti e dell’influenza. È pertanto imprescindibile sfruttare questi mesi estivi per preparare la medicina territoriale. Sarà necessario organizzare corsi di formazione e aggiornamento su sicurezza, diagnosi e terapia. Lavoratrici e lavoratori dovranno essere dotati di adeguati e sufficienti dispositivi di protezione individuale, strumenti per la diagnosi (tamponi). Bisognerà valutare l’utilità di esami radiologici a percorsi agevolati, permettendo ai medici di medicina generale e di continuità assistenziale di prescrivere i farmaci nel frattempo risultati più efficaci. Bisognerà riorganizzare gli accessi agli ambulatori per evitare pericolosi assembramenti nelle sale d’attesa. Dovranno essere attivate sul serio le Unità speciali di continuità assistenziale, non come adesso. Vedi in Brianza, dove sono state previste 24 Usca ma attive ce n’è solo 3, con dotazioni diagnostico-terapeutiche molto limitate.

Considerazioni sui dati dei contagiati e sui decessi? “In Lombardia il numero dei contagiati è grossomodo 20 volte la stima ufficiale. Per quanto riguarda i decessi, le anagrafi comunali hanno registrato circa 30.000 morti. Di questi, un terzo sono rappresentati dalla mortalità attesa (media dei consueti decessi degli ultimi cinque anni). Dei 20.000 decessi non previsti, solo la metà sono ufficialmente Covid-correlati. Si dovrà spiegare a cosa attribuire l’ulteriore enorme mortalità. Fuor di metafora: i morti causati direttamente o indirettamente da questa epidemia ammontano al doppio dei numeri ufficiali.

Questo dato permette un paio di ulteriori considerazioni. Il dato di letalità del Coronavirus in tutto il mondo sembra ormai consolidarsi poco sotto l’1%. I decessi in Lombardia sfiorano ormai i 25.000 casi, il che porta a calcolare che circa due milioni e mezzo di lombardi abbiano già superato il contagio da asintomatici o paucisintomatici. Per essere più precisi, bisognerebbe correggere il dato in considerazione del fatto che la mortalità a oggi andrebbe correlata al calcolo dei contagi di 10-15 giorni fa; il che porterebbe a un numero ancora maggiore (andrebbero sommati i contagi avvenuti nelle ultime due settimane) ma il concetto resta questo.

Rispetto ai colleghi medici uccisi dal virus?  “Per autodifesa, per rimozione, ho un po’ abbandonato il quotidiano macabro conteggio. Grossomodo, credo che, considerando solo i medici (ma vorrei si ricordassero anche tutti gli altri operatori del SSN), abbiamo ormai traguardato i 130-140 morti. La maggior parte in Lombardia. La metà tra i medici di medicina generale. Una carneficina determinata dal modello di sanità lombardo. Se in Veneto il diffondersi dei focolai è stato precocemente messo sotto controllo, contenendo i decessi nell’ordine del migliaio e la Lombardia ha avuto la “bomba atomica”  – così l’ha definita l’assessore Gallera – di 12.000 morti, qualcuno dovrà darci spiegazioni…”.

Sul piano sindacale cosa prevedete di fare? “Questa fase, in qualche modo, la supereremo. Ma bisogna imparare dai moltissimi errori che sono stati commessi. Il personale in prima linea va tutelato. Nessun alibi sarà concesso a un secondo eventuale giro del virus. FP-CGIL Medici sta lavorando su alcune proposte di rilancio della medicina territoriale, che dovrà riprendere lo spirito della legge di istituzione del SSN. L’obiettivo di un paese civile può e deve essere il diritto alla salute per tutte e tutti, non alla mera cura della malattia. Preservare la salute è compito di un medicina territoriale capillare, che dovrà essere adeguatamente formata, rifinanziata e dotata di idonei strumenti per una buona diagnosi e terapia. Si rilancino la prevenzione primaria e quella secondaria. Si rilancino campagne di screening. Si rilancino programmi di invito a stili di vita salutari. Si rilanci quindi il ruolo dei medici di medicina generale. Si apra infine una seria riflessione sul fatto che un servizio di vitale importanza come quello sanitario potrebbe essere più efficace ed efficiente se riportato nell’alveo della dipendenza dal Ssn invece che della convenzione”.