Barbieri (Fp Cgil MMG): la delibera regionale del 7 maggio non è attuabile
13 mag. – “I tamponi non ci sono. Vengono programmati ma non ci sono gli strumenti per farli”. Giorgio Barbieri, responsabile regionale Medici di medicina generale per la Fp Cgil, si riferisce alla delibera XI/3115 del 7 maggio scorso di Regione Lombardia “Indirizzi per l’organizzazione delle attività sanitarie in relazione all’andamento dell’epidemia da Covid 19”.
In relazione a questa delibera sulla sorveglianza Covid, Barbieri aveva chiesto un tavolo aziendale all’Ats Brianza, territorio dove esercita la sua attività di medico di base, per condividere le prime linee operative. La richiesta è stata una prima volta respinta perché, come racconta il sindacalista, all’Ats pareva “tutto semplice” e comunque “usciranno altre delibere e alla fine si vedrà…”. La seconda volta il pressing passa e l’incontro ha avuto luogo ieri.
Com’è andata? “Alle mie domande, hanno svicolato. Ridendo quando ho chiesto, ad esempio, quanti tamponi pensano di avere a disposizione. Oltre a quelli impegnati per i controlli dei casi già accertati, non ne hanno che poche decine al giorno, a fronte di oltre 1.200.000 abitanti. È offensivo, per noi professionisti, scrivere delibere che prevedono castelli in aria e poi non metterci nelle condizioni di agire. Non hanno dato indicazioni nemmeno sui dispositivi di protezione individuale né sulla sanificazione”.
Stai dicendo che, avviata la riapertura delle attività, con le persone che via via riprenderanno a circolare, a oltre due mesi dallo scoppio della pandemia, la situazione per i medici di famiglia è rimasta la stessa? “La situazione in effetti è indecente. Noi andiamo avanti usando il buon senso, ogni medico prova a improvvisare le risposte che appaiono più idonee ma senza una regia è solo confusione”.
Come ti sei organizzato a Limbiate? “Fisso appuntamenti diradati, per tenere le persone il più distante possibile tra loro. Ma se ne arrivasse una sospetta Covid+, dovrei sanificare subito dopo o chiudere l’ambulatorio. Mi sono comprato mascherine, vado avanti con quello che mi è avanzato. I guanti non si trovano: ne ho ancora qualcuno per me. Per i pazienti ho ordinato on line quelli da banco alimentare, gli unici a disposizione, ma pare che li consegneranno a fine giugno. Non ho tute protettive per cui i miei vestiti si contaminano quando visito un paziente contagiato. Ribadisco quanto detto in passato: se divento fonte di contagio non sono più una risorsa per il sistema sanitario ma divento un problema. È impensabile che i pazienti vengano in studio per ammalarsi. Io credo – aggiunge – che proprio per proteggere l’utenza i dispositivi di protezione debbano essere obbligatori”.
Per rinforzare il concetto, Barbieri porta un esempio disarmante: “Metà del personale sanitario morto per Covid è tra i medici di medicina generale, l’altra metà tra lavoratrici e lavoratori in reparti no Covid. Cioè dove si è lavorato senza adeguate protezioni. Dove i Dpi sono stati usati ed erano ben attrezzati, nei reparti Covid con i lavoratori che sembravano ‘palombari’, le protezioni hanno generalmente funzionato”.
Quindi? “Noi medici di famiglia facciamo fatica ad arrangiarci da soli. La delibera regionale, anche se non declina i dettagli, va seguita. Le Ats invece procedono in ordine sparso. Faccio un esempio. Per prescrivere il tampone a Monza la procedura passa su una piattaforma on-line, con molto dubbia garanzia di privacy e senza alcuna ricevuta. Così, non abbiamo garanzia che la richiesta sia stata inoltrata. A Brescia, invece, L’Ats ha optato per la prescrizione su ricetta dematerializzata, ma in compenso si rifiutano di riunire il tavolo aziendale per incontrare le organizzazioni sindacali. A Varese il medico di base deve procedere attraverso un portale e poi qualcuno telefonerà al paziente. Insomma, ogni Ats fa di testa sua, non c’è coordinamento”.
Torniamo alla fase 2 e alla sorveglianza. “Quella non fatta nella prima fase e che ora diventa indispensabile ma, come dicevo all’inizio, non ci sono gli strumenti – sottolinea Barbieri -. L’isolamento ha dato i suoi frutti, il numero dei contagi è calato. La foto attuale dà una curva che sta scendendo ma i timori sono nella sequenza. Se ora ci rimettiamo nelle stesse condizioni di prima la curva salirà, anche se un po’ meno”.
Perché? “Perché una parte di soggetti ora dovrebbe essere diventata immune mentre prima erano tutti suscettibili. Ora andrà verificata la copertura con i test sierologici sul sangue, utili per avere informazioni sull’eventuale suscettibilità. È stata una sorpresa rilevare che meno persone del previsto hanno gli anticorpi al virus”.
Questo cosa vuol dire? “O che il test non funziona ancora bene, dando falsi negativi. O che la curva IgG (le immunoglobuline, anticorpi che segnalano la risposta immunitaria) resta alta per poco tempo, poi scende. Ciò può significare tre cose: 1) non si crea memoria immunitaria 2) la memoria immunitaria si mantiene ma le IgG non vengono più prodotte e le difese ripartiranno solo al secondo contatto, in sostanza gli anticorpi non restano in giro 3) Servono più contatti per sviluppare una buona risposta anticorpale. Come succede, ad esempio, con le vaccinazioni per l’epatite B: solo dopo il terzo richiamo si crea una memoria immunitaria. Altri vaccini paiono essere efficaci invece tutta la vita”.
Da qui una ipotesi dura, su cui ragiona Barbieri: “Se davvero si sono contagiate meno persone di quante immaginassimo, significherebbe che la letalità è stata incredibilmente alta. Ovvero, che il Sistema Sanitario Regionale è completamente collassato, con la sua ‘eccellenza’, determinando un numero di morti per contagiato da 5 a 10 volte maggiore che nel resto del mondo!”.
Silenzio.
Lo interrompiamo per la considerazione finale. Accanto agli studi, dovrà assolutamente continuare la sorveglianza. “Sì – afferma Barbieri -. La delibera regionale prevede che, allo scoppio di nuovi focolai, i medici di base individuino attraverso una serie di sintomi (febbre, tosse, desaturazione, perdita del gusto, astenia, ecc.) le persone sospette da mettere immediatamente in isolamento insieme ai loro contatti stretti. La quarantena dovrà proseguire una volta che, fatto il tampone, risultasse la positività al virus. L’obiettivo è quello di non lasciar fuori nessuno. Queste sono le indicazioni ma, come ho raccontato, non abbiamo tutti i mezzi opportuni per poter intervenire a tutela della salute pubblica”. (ta)