19 Apr 2024
HomePubblicazioneSanità lombarda in tempo di Covid / Ribera (Fp Cgil): si conferma un modello non in grado di gestire la salute della comunità

Sanità lombarda in tempo di Covid / Ribera (Fp Cgil): si conferma un modello non in grado di gestire la salute della comunità

La denuncia della dirigente sindacale che oggi cede il testimone nella guida della Fp Cgil Medici Lombardia. In questa intervista il bilancio crudo della gestione sanitaria sotto pandemia che mostra ‘l’assoluta inadeguatezza organizzativa e strutturale del sistema’

15 mag. – “Nei momenti di difficoltà, i nodi vengono al pettine, e quelli della sanità lombarda sotto pandemia mostrano una drammatica realtà: l’assoluta inadeguatezza organizzativa e strutturale del sistema”. Sonia Ribera, dal maggio 2011 a guida della categoria dei Medici della Fp Cgil Lombardia, da oggi passa il testimone a Bruno Zecca. Restando nella delegazione trattante regionale e con un ruolo sindacale nazionale “a rafforzamento delle politiche portate avanti in questi anni”.

Con lei facciamo un bilancio della situazione. “Come Fp Cgil, medici e dirigenti sanitari – tutti dai biologi ai fisici ai medici del lavoro e di medicina generale – ci siamo mobilitati al 100% per mettere insieme azioni per rispondere, anche sotto la pressione del Covid, non solo ai bisogni di cura sulle acuzie (su cui per scelta politica Regione si è da sempre orientata) ma anche a quelli sul territorio, oltre che alle risorse professionali. Il punto vero è che il modello sanitario lombardo per come è stato strutturato non risponde più ai bisogni di salute dei cittadini. Non siamo più negli anni ’90 e la riforma del welfare del 2015, che negli intenti originari voleva aprire a competenze sul territorio e alla cronicità è poi abortita per interessi interferenti, sia della politica sia delle lobby imprenditoriali. Non è il modo migliore per affrontare una pandemia” racconta Ribera.

Ti riferisci alla riforma voluta da Maroni. “Sì, Formigoni ha realizzato un riassetto sanitario sbilanciato sull’ospedale. Ma la Legge 23 rappresenta una tragica continuità di quel modello che vede – ribadisco – anche sotto Covid forti ingerenze del privato profit nelle scelte strategiche regionali e una gestione decisamente apicale, verticistica di Regione Lombardia e delle aziende”.

Questo come si traduce? “In una mortificazione delle competenze tecniche, professionali, a vantaggio di collaboratori fedeli alla politica. In scelte poco trasparenti e poco condivise di Regione, come per i consulenti. Mentre gli allarmi dei medici e delle professionalità sono rimasti inascoltati. Già a gennaio, ad esempio, i medici di base avevano segnalato polmoniti interstiziali atipiche. Nessuno ha raccolto il dato. Sai perché?”

Perché? “I dipartimenti di prevenzione, quelli che nelle vecchie aziende sanitarie si rapportavano con gli ospedali, sono stati svuotati di competenze’. Più in generale, il problema strutturale è la più grave criticità: c’è scarsa prevenzione anche negli ospedali, impoveriti di personale (dai medici, inclusi quelli del lavoro, agli infermieri e così via). Non ci sono strumenti per controllare e supportare le strutture sul territorio. Questo ha fatto la differenza con il Covid, oltre ovviamente al fatto che la nostra regione ha una grande concentrazione urbana e forte mobilità e relazioni commerciali, Cina compresa”.

Questo rende anche più grave quanto mi hai detto rispetto al mancato aggiornamento del piano pandemico. “L’ultimo risale al 2010. Neanche a livello nazionale è stato aggiornato. In Lombardia sono passate tre Giunte e nessuna ci ha messo la testa. In un territorio di oltre 10 milioni di abitanti. Nel frattempo sono state cancellate la medicina scolastica e di comunità, tra le altre, che potevano e possono dare supporto ad arginare il contagio. La medicina territoriale non ha risorse e i presidi sono pochi, come i medici di medicina generale. Insufficiente la continuità assistenziale a bassa intensità di cura come l’accesso alle cure intermedie. Sono punti focali per la gestione della salute pubblica. Tutto questo ha portato a gonfiare le liste d’attesa e all’avanzare della sanità privata”.

Hai dei casi da raccontare rispetto al coronavirus? “La gestione dei senza fissa dimora, anche tra loro ci sono Covid+: sono stati sbattuti fuori dalle case di accoglienza e ora vanno in giro, anche su tram e metro. Continuano poi, ancora oggi, errori della prima fase: nelle strutture i percorsi Covid sono ancora misti, questo favorisce la diffusione del virus”.

Torniamo alla sanità privata. “Nelle prime tre settimane dell’epidemia il privato ha sottratto posti alle terapie intensive, continuando a erogare prestazioni differibili. Poi è intervenuto nella gestione dell’emergenza sanitaria, anche in modo massiccio, ma a quanto sembra sempre sotto la garanzia di contratti ad hoc”.

Al tavolo della dirigenza, come è andata con Regione? “Le relazioni sindacali sono state difficili sotto Formigoni, Maroni, e ora Fontana. Sui temi delle politiche sanitarie non si riesce ad avere una interlocuzione efficace. All’ultimo tavolo, in videoconferenza, ci siamo rifiutati di siglare un accordo che riguardi i soli istituti contrattuali economici delle lavoratrici e lavoratori. Il tema prioritario è la tutela della loro salute e sicurezza. È gravissimo che siano stati abbandonati in questa pandemia. Mi riferisco – precisa  Ribera – oltre che ai dispositivi di protezione necessari a tutti (anche ai reparti Covid free, ai medici di medicina generale e di continuità assistenziale, ecc.), anche alla sorveglianza sanitaria. Regione inizialmente ha disposto tamponi solo per chi sul lavoro aveva la febbre. Se i lavoratori la riscontravano una volta tornati a casa no. Una scelta decisamente inadeguata trattandosi di un virus che, peraltro, non si manifesta solo con la febbre. Abbiamo chiesto alla Direzione Generale  Welfare di rettificare queste indicazioni. È inspiegabile anche – se non con la mancanza delle opportune competenze – che i test sierologici siano forniti solo a certe categorie di lavoratori e senza tamponi, che sono imprescindibili. A ciò si è aggiunto pure un danno economico”.

Quale? “Per decreto il Covid è stato paragonato a un infortunio sul lavoro. Ma senza tamponi non si può verificare la positività. Risultato: i lavoratori si sono ammalati e ai sensi della Legge Brunetta hanno avuto una decurtazione sullo stipendio”.

Si chiude il tuo mandato da segretaria regionale, quali sono state le tue linee direttrici? “La prima è stata fare rete con i territori. È stato fondamentale conoscere le diverse realtà – le aree rurali, montane – per me che vengo dall’area metropolitana milanese, ricostruire un quadro complessivo, anche con i medici di medicina generale. Credo sia strategica la interconnessione, conoscere i problemi per sviluppare soluzioni. E la Cgil ha grandissimi strumenti per garantirlo. Ho poi contribuito a riorganizzare un tavolo sindacale frammentato, disordinato – continua Ribera -, ricompattando la dirigenza e introducendo una riflessione sul valore di una collaborazione con il comparto. Credo nell’idea che i temi che riguardano lavoratrici e lavoratori vadano affrontati unitariamente, senza differenziazioni tra infermieri, operatori socio sanitari, medici, dirigenti di strutture complesse, ecc. Le criticità vanno affrontate nella stessa maniera”.

Vuoi dire qualcosa a Zecca? “Conosco Bruno dagli anni della specializzazione al Policlinico. Lui è un pragmatico e ha un altissimo senso etico, che oggi serve come non mai; ha fatto anche molto volontariato. Gli faccio gli auguri migliori”. (ta)