Nella bergamasca circa 3000 dipendenti pubblici, su 5000 complessivi degli enti locali, per via del coronavirus lavorano da remoto. Pusceddu (Fp Cgil): “Il lavoro agile esiste nella Pubblica Amministrazione dal 2015 ma non è mai stato davvero una pratica diffusa”. Per la delegata Laura Vecchi “Sembrava quasi che lo smart working fosse un ostacolo per l’ente, invece che un’occasione per continuare a far funzionare il comune, e rispondere al cittadino anche nell’emergenza”
25 mag. – “Ancora manca una cultura del lavoro agile come strumento per operare a progetto, su precisi obiettivi. Siamo arrivati tardi: già la riforma Madia della Pubblica Amministrazione prevedeva una percentuale del 10% di personale da far lavorare in smart working, ma questa non è mai partita”. Così Laura Vecchi, dipendente del Comune di Dalmine (ufficio cultura e sistema bibliotecario) e delegata Fp Cgil, nella nota stampa diffusa dal sindacato nei giorni scorsi rispetto all’uso del lavoro da remoto negli enti locali orobici sotto Covid-19.
Come spiega Dino Pusceddu, segretario Fp Cgil Bergamo, “Il lavoro agile esiste nella Pubblica Amministrazione dal 2015 ma non è mai stato davvero una pratica diffusa: non venivano acquistate le strumentazioni tecnologiche necessarie né venivano accolte le richieste di lavorare a casa, anche a fronte di situazioni di estrema necessità”.
L’esperienza della lavoratrice del Comune di Dalmine è tra quelle che fanno dire ai sindacalisti – in testa Serena Sorrentino, segretaria generale nazionale Fp Cgil – che per le Pa non si può ancora parlare di smart working. “Con il sopraggiungere della crisi sanitaria, a Dalmine siamo partiti tardi e senza confronto: l’amministrazione non ha cercato alcun dialogo con noi delegati sindacali né con i lavoratori, e invece questo avrebbe facilitato e reso più veloce il processo. Così nelle prime settimane si è scelto di usare ferie, congedi, banca ore e recuperi di ore straordinarie e solo dal 30 marzo lo smart working è stato adottato in modo organico, malgrado noi delegati sindacali dal 26 febbraio avessimo sollecitato l’amministrazione sui temi della sicurezza e del lavoro smart, da attivare anche nelle sue modalità più semplici, come previsto dalla legge, partendo anche solo dalla formazione a distanza” racconta Vecchi.
Ricapitoliamo con Pusceddu le tappe di questa modalità di lavoro dall’arrivo del coronavirus. “La prima direttiva del Ministero che invita le pubbliche amministrazioni a potenziare il ricorso al lavoro agile è del 25 febbraio. Il Decreto del Presidente Conte che rimuove l’obbligo di accordo individuale con il lavoratore e di notificarlo all’Inail è quello del 1° marzo. La Ministra Dadone, con direttiva n. 2 del 12 marzo, stabilisce che il lavoro agile è la modalità di lavoro ordinaria nelle Pa e ciò è stato riconfermato dal decreto Cura Italia e dal decreto Rilancio. Sarà così fino a fine emergenza. Pare inoltre che la Ministra Dadone punti a lasciare strutturalmente in remoto il 40% del personale” spiega il segretario, stimando che attualmente nella bergamasca su circa 5000 dipendenti degli enti locali, in lavoro agile siano circa 3000 addetti. Esperienze decisamente positive in merito – segnalate dal sindacato – ci sono al Comune di Bergamo, ad esempio, o all’Unione dei Comuni di Almè e Villa d’Almè.
Ma ritorniamo su Dalmine, perché paradigmatico della situazione in una buona parte di enti pubblici.
“Sembrava quasi che lo smart working fosse un ostacolo per l’ente, invece che un’occasione per continuare a far funzionare il comune, e rispondere al cittadino anche nell’emergenza – riferisce Vecchi -. Ho assistito a qualche difficoltà anche tra alcuni colleghi: c’è davvero la necessità di rivedere il ruolo del dipendente pubblico e la visione che ne abbiamo, anche tra noi lavoratori. Non si può chiedere fiducia del cittadino quando noi dipendenti stessi non ci fidiamo e fatichiamo ad andare al di là della logica della presenza fisica. Comunque, superato lo scoglio iniziale, e una volta a regime, una buona parte di lavoratori dell’ente si sono trovati in smart working”.
La lavoratrice sottolinea comunque l’importanza di “un’esperienza molto positiva: con la mia dirigente ci siamo concentrate sul lavoro per progetti specifici. Ma non tutti, fra i dirigenti, hanno capito che il lavoro agile è un’attività da strutturare su obiettivi, tanto che l’amministrazione ha chiesto report su quanto tempo lavoravamo sulle singole attività. Insomma, c’è stata diffidenza di fronte a questo strumento che, invece, speriamo resti attivo per quanto possibile anche dopo l’emergenza. Speriamo finalmente che la famosa innovazione e la digitalizzazione nella Pubblica Amministrazione – di cui da tempo si parla – si integrino con le altre modalità di lavoro, che non restino solo parole sulla carta. Questa crisi si è rivelata un’opportunità. Anche se in ritardo, siamo contenti di essere partiti”. (ta)