19 Apr 2024
HomePubblicazioneIl lavoro agile nei tribunali

Il lavoro agile nei tribunali

Russo (Fp Cgil) dal Palazzo di Giustizia di Milano: servono investimenti e una rieducazione culturale rispetto alle nuove modalità e potenzialità organizzative. La prospettiva non è solo lo smart working ma anche il coworking. La pandemia, da questo punto di vista, offre “un’occasione per il futuro”

26 mag. – “È il momento di riflettere sui pro e i contro del lavoro agile e di valorizzare i pro per lavorare meglio, per lo snellimento e l’efficientamento della macchina pubblica”. Cioè, nel caso in questione, gli uffici giudiziari, di cui Felicia Russo, per la Fp Cgil, è coordinatrice. Per la sindacalista, cancelliera al Palazzo di Giustizia di Milano, in Lombardia, come nel resto del paese, la situazione dei tribunali sotto pandemia è a macchia di leopardo rispetto al lavoro da remoto. “Ci sono uffici in ritardo sull’informatizzazione, vedi i giudici di pace, e in generale il livello tecnologico non è uniforme. Occorrono forti investimenti nel parco macchine, nella formazione, in nuove assunzioni. Occorre un diverso approccio nelle relazioni sindacali che devono farsi più intense e collaborative, perché solo assieme possiamo vincere le nuove sfide”.

La giustizia digitale può funzionare? “Sì – risponde Russo -. Lo si è visto nella fase acuta del Covid-19, quando lavorando da casa sono state garantite alcune attività indifferibili, dalle notifiche alle risposte agli avvocati e ai collegamenti con altre attività pubbliche. Certo – aggiunge –, la pandemia ha messo a nudo i limiti dell’informatizzazione, per cui, ad esempio, si potrebbe lavorare meglio avendo accesso a tutti gli applicativi. Occorre modernizzare, innovare. Guardare in prospettiva farebbe da leva a superare questi limiti. Penso, ad esempio, a un obiettivo come quello del fascicolo digitale. La giustizia funziona ancora molto sul cartaceo e sul lavoro in presenza. Ma perché l’innovazione non dovrebbe permettere anche a un lavoratore pubblico, come accade nel privato, di avere le stesse opportunità per organizzare al meglio il servizio erogato anche da remoto e conciliare così condizioni di vita e magari pure di salute? Questa è un’occasione per il futuro da agevolare e su cui investire. Va anche tenuto conto – sottolinea la sindacalista – che l’età media di chi lavora negli uffici giudiziari è elevata”.

Quindi? “Il lavoro che ci aspetta è grande, perché occorre anche un cambio di mentalità, non solo da parte dell’amministrazione ma anche delle lavoratrici e dei lavoratori. Garantendo sempre sicurezza a tutti i livelli (delle persone, degli ambienti e degli strumenti usati, peraltro da garantire a tutti), serve un diverso approccio culturale rispetto al modus operandi che ha prevalso finora. Non solo per raggiungere davvero il tanto auspicato smart working, ma anche altre forme organizzative, vedi il coworking”.

Cioè? “Prendendo sempre a titolo esemplificativo Palazzo di Giustizia a Milano: molti lavoratori fanno i pendolari. Perché, sfruttando questa fase, non potrebbero lavorare in uffici più vicini alle loro case? Questo potrebbe aiutare su più fronti: i problemi che alcuni hanno rispetto agli strumenti informatici e l’accesso alle diverse piattaforme, i problemi degli uffici alveare che abbiamo, per cui, anche se il personale è a rotazione, in alcuni c’è difficoltà ad assicurare il distanziamento. Ma anche snellirebbe il pendolarismo stesso e ci sarebbe meno inquinamento. Questa sperimentazione, fatta oggi, potrebbe poi rivelarsi una misura utile anche per il futuro. Non perdiamo l’occasione!”.

Al Tribunale di Corso di Porta Vittoria, prima del Covid tra lavoratrici e lavoratori, giudici, avvocati e utenza c’erano circa 8000 presenze giornaliere. Ora il personale in sede è attorno al 30% e gli ingressi dei cittadini sono ridottissimi. “La fase 2 è iniziata con molta cautela, le udienze sono poche, se ne fanno più da remoto. L’attività giudiziaria è molto ridotta, gli avvocati entrano su appuntamento per la revisione dei fascicoli e sono stati aperti punti informativi per gli utenti – racconta Russo -. Da maggio a luglio è una fase transitoria in cui testare i moduli organizzativi più adeguati a tutela della salute e sicurezza degli operatori e dei cittadini”.

La sede di Porta Vittoria, a quanto pare, è in difficoltà anche strutturali: incendi, allagamenti, da ultimo i guasti alla centralina elettrica. “Il Palazzo ha il peso dei suoi anni. Ci sono difficoltà a metterlo totalmente a norma anche per via del vincolo dei Beni culturali. Anche qui servirebbero stanziamenti”. (ta)