Bottiroli (Fp Cgil Milano): “la soluzione va trovata a livello politico”
29 gen. – Tasse e dipendenti delle rappresentanze diplomatiche estere in Italia. Ne avevamo scritto un anno fa di questa vicenda, complicata dal non obbligo, per ambasciate e consolati, ad agire da sostituti di imposta. Con le lavoratrici e i lavoratori poi a dover pagare arretrati anche di decine di migliaia di euro.
A sottolineare il caso, per Milano, il segretario Fp Cgil territoriale Cesare Bottiroli, che in questi giorni si è rituffato sul tema alla luce di due novità e di una necessità.
Partiamo dalle novità. “La prima è una sentenza recente della Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha dichiarato che è illegittimo che l’Agenzia delle Entrate assoggetti a imposizione fiscale i redditi da lavoro di una dipendente di un Consolato estero che ha sede a Milano – afferma Bottiroli -. La seconda è la firma, a livello nazionale, tra sindacati, Ministeri del Lavoro e degli Affari Esteri, delle le linee guida per la ‘Disciplina’ del rapporto di lavoro dei dipendenti di ambasciate, consolati, legazioni, istituti culturali ed organismi internazionali in Italia”.
Ci spieghi meglio la situazione? “Se i Cud riportano la dicitura ‘reddito esente da imposta’ perché a normare i redditi dei dipendenti di consolati e ambasciate estere è il diritto internazionale e magari non proprio aggiornatissimo (vedi la Convenzione di Vienna del 1963!), se le stesse norme lasciano margini interpretativi e la possibilità di regolare con accordi bilaterali tra Stati la questione, non solo si generano difformità di trattamento, anche a seconda dello Stato estero da cui dipendono le lavoratrici e i lavoratori. Per esempio a Milano ci sono Consolati che versano ai dipendenti una retribuzione lorda, senza trattenute fiscali, e ci sono Consolati che si adoperano come sostituto di imposta e versano il netto. Non bastasse – aggiunge il sindacalista -, il livello di complicazione è alzato dai – sì doverosi – accertamenti dell’Agenzia delle Entrate ma che non sempre sono coerenti, per cui per alcuni lavoratori viene annessa l’irrilevanza a fini fiscali del reddito percepito mentre per altri no. La stessa sentenza della Commissione tributaria, pur condivisibile nel merito, diventa divisiva nello stesso luogo di lavoro tra cittadini italiani e stranieri”.
Rispetto alla ‘Disciplina’? “Rappresenta uno strumento importante per affrontare le problematiche delle lavoratrici e dei lavoratori e amplia i loro diritti, introducendo istituti come le ferie solidali e il congedo per le vittime di violenza, adeguando la malattia e il congedo parentale per favorire la conciliazione vita/lavoro. C’è il lavoro agile, con la possibilità di definire con la contrattazione di secondo livello accordi sperimentali. E nel capitolo sulle relazioni sindacali con l’introduzione del diritto all’informazione e alla consultazione. Vengono precisate e aggiornate le retribuzioni lorde tabellari. Per i datori di lavoro, viene stabilito il vincolo – e qui torniamo al punto del contendere – di certificare in tempi brevi i redditi dei dipendenti ai fini dell’assolvimento degli obblighi fiscali. Perché, appunto, non si ritrovino nelle condizioni attuali”.
Arriviamo alla necessità. “Per sanare la situazione, la soluzione va comunque trovata a livello politico, e in fretta. Partendo dalla buona fede delle lavoratrici e dei lavoratori e dal dovere di pagare le tasse, bisogna che il fisco attui trattamenti omogenei e consenta una rateizzazione del pregresso Irpef dovuto. Ci sono casi in cui questo ammonta anche a 50mila euro, a fronte di stipendi medio bassi. È una cifra che può mettere tanti sull’orlo del baratro”. (ta)