La denuncia dell’intersindacale medica. De Chiara (Fp Cgil Medici Milano): abbiamo voluto dare voce al disagio dei dirigenti medici e sanitari. Tante le criticità e la principale è l’assenza di ascolto da parte dell’azienda
3 feb. – “La pentola bolliva da tempo e bisognava dare risposte”. Sergio De Chiara, responsabile Fp Cgil Medici Milano, è tra i firmatari del comunicato intersindacale che, facendo il bilancio di un anno pandemico, ha denunciato la situazione che persiste all’ospedale Niguarda.
“Oggi Niguarda raccoglie una visibilità mediatica che appare prioritaria rispetto a scelte cliniche e organizzative su cui sarebbe indispensabile un confronto – recita il comunicato di Anpo-Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn-Cisl Medici-Fassid e Uil -. In altri termini si resta costantemente nel solco di uno stile direzionale che dimentica il confronto e la dialettica, che svilisce le competenze professionali ed economiche di dirigenza e comparto e che, sottraendo sapere ai processi, espone pazienti e operatori a rischi inutili compromettendo la qualità delle prestazioni erogate”.
Quali sono i problemi? “C’è un malessere da tutte le parti. Per quanto riguarda, nello specifico, i 900 dirigenti medici e sanitari dell’ospedale (i medici sono 817, i dirigenti sanitari 83), il malcontento riguarda in gran parte la mancanza di ascolto da parte dei vertici ospedalieri che agiscono senza ascoltare chi opera sul campo. A questo disagio abbiamo voluto dare voce – sostiene De Chiara -. Dopo la prima fase del Covid, dove mancavano anche i dispositivi di protezione individuale, ci si aspettava, con la seconda ondata, misure di sicurezza più adeguate e invece non è stato così. Ad esempio, al punto vaccinale, dove affluisce un gran numero di persone, si impuntano a non dare le mascherine Ffp2 al posto delle chirurgiche. Oppure resta insufficiente la determinazione dei percorsi separati pulito/sporco. Perché l’azienda non ascolta le informazioni di chi quei percorsi li fa tutti i giorni?”.
De Chiara sottolinea le attese deluse rispetto alla possibilità – durante l’estate, quando il virus ha allentato un po’ la sua presa – di migliorare condizioni e organizzazione del lavoro. “I lavoratori, già stanchi per le poche ferie, sono rimasti frustrati: dopo il grande numero tra loro di contagiati, il monitoraggio sanitario avrebbe dovuto essere più capillare e rigoroso. L’assistenza sui tamponi è stata scarsa e confusa. Lavoratrici e lavoratori hanno continuato a lavorare a testa bassa, in un tour de force per recuperare quelle prestazioni ai cittadini che erano state sospese nella fase più acuta della pandemia e che per l’ospedale significano anche rimborsi da parte di Regione. Non è arrivato un grazie né corrispettivi e soprattutto, non ci sono stati – ribadisco – né ascolto né dialogo. C’è inoltre un vero e proprio scollamento tra lavoratori e direzione. Il mancato riconoscimento di diritti da considerarsi acquisiti ed automatici, porta a vivere diffidando costantemente e dovendo sempre controllare orari, turni, cedolini, ecc. Non è questo lo spirito di un normale rapporto di lavoro”.
Rivendicazioni? “Chiediamo dialogo e concertazione per far fronte alle criticità dell’ospedale. Chiediamo di ascoltare le rappresentanze dei lavoratori, come prevede il contratto nazionale. Un altro punto critico riguarda la gestione sbagliata o impropria dei fondi della dirigenza. C’è qualcosa che non va se le risorse non sono sufficienti per tutti i medici, quando invece dovrebbero essere proporzionali al loro numero. E qualcosa non va se il danno ricade sui medici più giovani. Mi spiego. L’ospedale paga ogni anno un indennizzo ai professionisti in base al grado assegnato loro dalla valutazione del primario. Di fronte a una valutazione buona i soldi devono essere conseguenti. Ma se non bastano per tutti allora che si fa? Si abbassa la valutazione individuale, facendone firmare ai medici con anzianità inferiore ai 5 anni le modifiche! Lo stesso succede con il premio di risultato, dove la premialità è riconosciuta in funzione del voto al di là del grado. Ma nella suddivisione del coefficiente bisogna fare attenzione ad avere soldi per tutti. Se il fondo è stato distribuito male, succede che a parità di performance, a essere tagliati sono quelli con le retribuzioni già più basse”.
Non finisce qui. De Chiara racconta che a Niguarda, così come negli altri ospedali, il contratto prevede 38 ore settimanali, incluse le guardie notturne e i festivi. “Ma se il personale non è sufficiente, il numero di ore è di più. Il contratto non prevede ore regalate, ma l’azienda paga solo le ore di straordinario effettuate di notte. Questo non dovrebbe essere permesso. Molti medici non sono a conoscenza dei loro diritti e i neo assunti hanno difficoltà a chiedere conto (o non sanno di doverlo fare) del lavoro straordinario al primario che deve autorizzarlo. Magari si rivolgono all’ufficio stipendi dove gli impiegati sono stati istruiti a dare risposte più burocratiche o nebulose rispetto alle previsioni contrattuali”. (ta)