
Oggi il presidio di Cgil Cisl Uil sotto il Palazzo della Regione
13 lug. 2021 – La pioggia non ha fermato il presidio organizzato da Cgil Cisl Uil regionali, con le categorie della funzione pubblica e i sindacati dei pensionati, che oggi sono tornate sotto Palazzo Lombardia per proporre una riforma della sanità che si faccia davvero carico dei bisogni di salute delle persone, a partire da quelle più fragili e vulnerabili.
Il Covid-19 ha definitivamente spezzato la corda di un modello ospedalocentrico che, avviato da Roberto Formigoni, con la riforma di Roberto Maroni non è stato corretto ma ha ancora di più impoverito la sanità territoriale. Regione Lombardia, entro il prossimo autunno, dovrà aggiornare la legge 23/2015 e i sindacati vogliono dire la loro sul cambio di passo necessario: da un modello organizzativo che rilanci la programmazione, i Distretti sociosanitario, la centralità della prevenzione, alla garanzia di servizi accessibili e cure continue. Dall’innovazione dei modelli di servizi e residenzialità sociosanitarie alla revisione del rapporto pubblico/privato, per cui il secondo (che prese il largo grazie a Formigoni e alla cosiddetta libertà di scelta da parte del cittadino) deve integrare e non sostituire il primo. Il tutto passando dal ruolo delle lavoratrici e dei lavoratori del sistema sanitario e socio sanitario regionale: professionalità che vanno riconosciute, valorizzate e incrementate per dare gambe a tutti i servizi.
Al presidio è intervenuto Bruno Zecca, medico di pronto soccorso e segretario regionale della Fp Cgil Medici Lombardia. Al video, che riproponiamo ai link su YouTube e Facebook, si aggiunge questa intervista.
Perché siamo qui oggi? “Per proporre un modello di sanità lombarda diverso da quello che la Regione ci sta riproponendo con queste linee di sviluppo. Siamo qui per portare la nostra testimonianza sul fallimento della riforma portata avanti sino a qui: per chi, negli ospedali, vive quotidianamente la realtà, questa si è mostrata fallimentare perché ha destrutturato il territorio – risponde Zecca -. La mia personale esperienza è l’aver visto un progressivo spostamento negli ospedali delle domande di salute delle persone che, non trovando sufficienti risposte ai loro bisogni nella medicina territoriale, si sono riversate nei pronto soccorso. Qui si prova in qualche modo a metterci una pezza, senza però trovare delle soluzioni strutturali che siano adeguate alle richieste della cittadinanza”.
Quindi cosa serve? “Una riforma vera che riporti la medicina territoriale vicino alle persone, una riforma che riesca sul serio a intercettare i bisogni delle persone nella prossimità della loro vita. Serve una maggiore interlocuzione, da parte della Regione, con le forze che rappresentano le lavoratrici e i lavoratori, soprattutto con i sindacati confederali che hanno una visione globale della sanità e non corporativa o legata a una singola categoria. Serve un maggior dialogo tra i professionisti della salute e della sanità: sono persone che hanno scelto di fare questo lavoro per delle motivazioni personali molto forti e che purtroppo stanno perdendo, schiacciate da un sistema in cui sono dei semplici prestatori d’opera, erogatori di prestazioni. Questo, vi garantisco, porta a demotivazioni professionali enormi. Bisogna quindi ripartire dalle persone: dalle persone che sono insieme le cittadine, i cittadini, le operatrici e gli operatori sanitari”.
Cosa suggeriresti alle giovani generazioni mediche? “In questo momento anche per i giovani medici fare una scelta di questo tipo è difficile. Le professioni sanitarie in generale – medici, infermieri, operatori sanitari – in questo momento vivono una situazione di crisi legata al loro ruolo all’interno del Servizio sanitario nazionale. Un ruolo che, purtroppo, si definisce all’interno di un sistema sanitario regionale che è diversificato in maniera troppo eterogenea su tutto il territorio. Mi sentirei di consigliargli di non mollare, di crederci ancora. Siamo qui oggi anche per portare una testimonianza a loro e a dire che vogliamo riportare il Servizio sanitario nazionale a dei livelli decorosi che possano consentire ai professionisti di esprimere le proprie capacità e abilità. E quindi il messaggio è soprattutto rivolto ai giovani che devono sicuramente avere una visione della professione più consona a quella che è il ruolo anche sociale del medico, dell’infermiere, dell’operatore sanitario.
Sul rapporto pubblico/privato in Lombardia? “La parità tra il pubblico e il privato di fatto non esiste. Noi che viviamo l’esperienza quotidiana negli ospedali e nei pronto soccorso siamo testimoni del fatto che al momento i cittadini lombardi non possono far altro che ricorrere a delle prestazioni private, perché purtroppo non c’è questa vera possibilità di scegliere il servizio pubblico. Le liste di attesa sono lunghissime e nelle linee di sviluppo di Regione Lombardia non c’è alcun accenno a questo problema molto serio che sta portando silenziosamente il privato ad avere un peso maggiore”.