Bruno Zecca, segretario della Fp Cgil Medici e Dirigenti SSN Lombardia: “Ripensare completamente i modelli clinico-assistenziali, mettendo la salute delle persone al centro del modello di cura”
9 apr. 2022 – Il podio è ricoperto dalla bandiera della pace. “Sono qui con l’assoluta convinzione che questi temi, seppure con il peso della guerra che è in atto, vadano affrontati perché purtroppo non c’è più tempo. Vanno fatte delle scelte concrete”. Così Bruno Zecca, segretario della Fp Cgil Medici e Dirigenti SSN Lombardia, nel partecipare, nelle scorse settimane, al convegno organizzato dalla Cgil nazionale a Roma “Il lavoro crea salute” (disponibile in rete), volto a riaffermare la necessità di difendere e rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale attraverso assunzioni adeguate, la valorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori, investimenti precisi per un welfare che sia davvero universale.
“La pandemia ha fatto emergere i problemi che già esistevano. E questo è dovuto a politiche sanitarie miopi di anni – afferma Zecca, medico di pronto soccorso al Policlinico di Milano. – Parlo per quello che posso vedere io dalla Lombardia: il quadro è drammatico. Quando parlo di crisi del servizio sanitario, parlo di donne e di uomini, quella disperazione che in questo momento è profondamente presente negli animi di tutti noi”.
Il suo ragionamento si snoda in quattro punti. “Il depotenziamento programmato del servizio sanitario negli ultimi 15 anni ha portato a un impoverimento degli organici, a un aumento dei carichi di lavoro ma, soprattutto, a una perdita della dignità della professione. Questi sono i temi che spingono in questo momento medici, infermieri e operatori sanitari a spostarsi dal servizio pubblico verso altri lidi. Non per guadagnare di più, ma per avere una vita migliore. Quello che ci dicono i colleghi è: noi non ce la facciamo più”. E la richiesta “di avere una vita normale”. Questa fuga dagli ospedali “ha portato a una progressiva precarizzazione e a un livellamento verso il basso delle prestazioni sanitarie”. Con, ad esempio, l’appalto di interi reparti alle cooperative. “Credo che questo sia il momento di colmare quei solchi che sono stati creati dalle politiche sanitarie, quella distanza tra gli operatori della sanità e la cittadinanza” sottolinea Zecca.
Il secondo punto riguarda il federalismo sanitario. “È stato spinto all’estremo in questi anni. Recentemente, mentre si parlava di Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza – ndr) nel pieno della pandemia, la Regione nella quale vivo ha deciso di sancire definitivamente l’equivalenza tra pubblico e privato. Questa equivalenza significa semplicemente: Servizio sanitario nazionale fatti da parte perché devi dare spazio al privato”.
Il segretario regionale Fp Cgil Medici e Dirigenti sanitari guardando all’eterogeneità delle situazioni sul territorio lombardo evidenzia anche “una progressiva perdita delle prerogative sindacali, quelle di avere un contratto forte che ci dovrebbe tutelare, ma che invece, sistematicamente e in maniera studiata, viene abbattuto nella contrattazione decentrata”.
Terzo e quarto punto sono collegati. Da un lato, c’è la “progressiva destrutturazione e impoverimento della rete territoriale. È un tema che per fortuna anche i cittadini cominciano ad elaborare, la pandemia lo ha reso evidente. Però l’impossibilità di avere una qualsiasi riforma delle cure primarie, oltre a questo impoverimento, ci pone in una condizione di grave difficoltà perché ci impedisce di costruire un modello integrato”. Dove cioè i professionisti siano integrati tra loro, messi in comunicazione, seduti intorno al paziente che viene assistito “in una logica a 360 gradi”.
Tra questi professionisti ci sono i medici di medicina generale “che ancora però sono isolati nei loro ambulatori”, rileva Zecca, citando “il prezzo pagato da questi colleghi soprattutto nella prima ondata della pandemia”. Anche da loro sale “un urlo di disperazione”, con la richiesta di poter “tornare a fare i medici” senza quell’eccesso di burocrazia di cui sono stati caricati.
Dall’altro lato, c’è la formazione adeguata che occorre ai professionisti delle cure primarie. “E non parlo solo dei medici di medicina generale che attualmente non hanno un riconoscimento europeo della loro formazione. Anche l’Università dovrebbe fare una riflessione molto seria e assumersi alcune responsabilità” sostiene Zecca.
Per poi arrivare alle considerazioni finali: “Se vogliamo difendere e rilanciare il Servizio sanitario nazionale in un modello di welfare realmente universale, inclusivo, integrato, dobbiamo colmare questi vuoti che sono stati creati tra i lavoratori della sanità pubblica e colmare anche il vuoto che c’è tra gli operatori e i cittadini, ripensando completamente i modelli clinico-assistenziali, mettendo la salute delle persone al centro del modello di cura – afferma -. Ma come si può fare questa operazione? Credo che si possa fare solo in una logica di inclusione, in cui il tuo problema deve diventare il mio problema. Il problema dell’infermiere deve diventare il mio problema, il problema dell’oss deve diventare il mio problema, perché siamo tutti dalla stessa parte. Sicuramente la logica attraverso la quale dobbiamo trovare delle soluzioni è quella della confederalità, quella di una visione complessiva unitaria che superi i particolarismi e superi anche alcune piccolezze che, purtroppo, nella mia regione vedo ai tavoli di contrattazione e che quindi auspico che cambi radicalmente”.