Sovraffollamento, persone detenute con problemi di salute mentale o tossicodipendenti, carenze di personale penitenziario, carichi di lavoro, stress e frustrazione, dispositivi di protezione, regole d’ingaggio e formazione tra i temi affrontati dal sindacalista
19 mag. 2022 – Quali sono i principali problemi delle carceri lombarde? Ne parliamo con Calogero Lo Presti, coordinatore Fp Cgil Lombardia della Polizia Penitenziaria.
“La situazione delle carceri è ovunque la stessa, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Certo, ci sono delle specificità e anche delle eccezioni, delle isole felici, ma nell’insieme c’è tanto da fare”.
Partiamo dal sovraffollamento. “Dai dati dell’Amministrazione Penitenziaria, aggiornati al 30 aprile scorso, complessivamente nei 18 istituti penitenziari lombardi c’è un surplus del 129,50% di popolazione detenuta. Su una capienza regolamentare di 6150 persone ce ne sono invece 7962. Scorporando il dato tra uomini e donne, si vede che il surplus è solo sul versante maschile: le detenute potrebbero arrivare a 360 e ce n’è 358; di detenuti ce n’è 7604 quando dovrebbero essere 5790. Ovviamente questo sovraffollamento porta tutta una serie di disagi alle persone detenute di diversa etnia, cultura, religione, forzate a convivere in spazi angusti – spiega Lo Presti -. E qui ci sono differenze tra istituti”.
Cioè? “Opera e Bollate hanno maggiori spazi e la detenzione è più mite. Non così nei penitenziari medi o piccoli dove il tasso di sovraffollamento è più alto e salgono insofferenza e sofferenza. La classifica negativa è questa: a Brescia il sovraffollamento è del 185%, a Bergamo e Busto Arsizio del 165%, a Varese del 164%. Quello di Varese è poi un carcere piccolissimo e di vecchia edificazione, senza spazi di socialità, e reclude 86 persone invece che 53. Ma non va meglio in altri istituti, vedi Como, Cremona e Pavia. In queste condizioni basta poco a fare scaturire eventi critici, risse, sommosse. Lo ripeto sempre – incalza il sindacalista -: siamo di fronte alla violazione dell’articolo 27 della Costituzione, per cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, per il suo reinserimento sociale. In queste condizioni, con le limitazioni che ci sono, il detenuto non può essere rieducato”.
Altre criticità? “La detenzione di persone con problemi di salute mentale o tossicodipendenti. Per fare fronte a loro ci vuole personale con specifiche qualifiche che non ha la Polizia Penitenziaria. I fondi di Regione Lombardia non bastano per pagare queste professionalità ma noi poliziotti non siamo psichiatri né infermieri e ci troviamo a dover gestire situazioni complicate e delicate, con persone minacciose, violente verso gli altri o verso se stesse, che fanno atti di autolesionismo o tentano il suicidio. La società ci consegna un detenuto per fargli espiare la pena e non per farlo uscire con i piedi degli altri, passatemi l’eufemismo. E il nostro lavoro così è molto più stressante, impegnativo, con più responsabilità – evidenzia -. Questo è un tema che va a toccare quello delle Rems, le residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza, istituite dopo la giusta chiusura degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari”.
Cosa intendi? “Tante persone in attesa di entrare nelle Rems, dove c’è personale sanitario e medico, vengono nel frattempo messe nelle carceri e, non reggendole, danno luogo a eventi critici. Mi rendo conto di entrare in un’altra questione complessa, che si intreccia con la fragilità dei servizi sanitari e socio sanitari territoriali. Una prova, questa, di come anche una istituzione totale qual è il mondo carcerario abbia bisogno del buon funzionamento dei servizi pubblici”.
Come stanno le lavoratrici e i lavoratori della Polizia Penitenziaria? “Stanno soffrendo. Prima di tutto per i carichi di lavoro, poi perché il personale è stato ridimensionato con il taglio ministeriale del 2017. In Lombardia siamo in circa 4500, sotto di un migliaio, con l’80% di carenze tra i sottufficiali, cioè di chi gestisce il personale e la popolazione detenuta. Un ruolo che viene impropriamente svolto dagli assistenti capo, senza essere pagati per questo. Inoltre – aggiunge Lo Presti – da vent’anni non si assume personale civile e i compiti amministrativi vengono svolti da poliziotti, sguarnendo ulteriormente gli organici in forza. E ci sono i pensionamenti e i riformati dalle Commissioni Mediche Ospedaliere che passano a fare altro, se non decidono di andare in pensione. Il quadro è tale, e stress, difficoltà e fatica eccessiva possono generare frustrazione, con il rischio di scoppiare, a livello individuale e collettivo”.
Carenze di divise e mezzi moderni sono stati risolti. Serve altro? “Ci mancano strumenti di protezione, quelli basici (caschi, scudi, etc.), indispensabili per svolgere la nostra attività ogniqualvolta siamo chiamati a intervenire per ristabilire l’ordine: la nostra incolumità è fortemente a rischio. Dico invece no al taser, che è un’arma, e nel nostro contesto sarebbe sbagliato. Chi dice il contrario fa solo demagogia e propaganda. Un altro problema – e qui rispondo sempre alla domanda – è che ci servirebbero delle regole d’ingaggio per come intervenire di fronte a certi eventi critici: dovremmo prevenirli e noi agiamo grazie alla nostra esperienza e intuito ma possono non bastare. Non si può improvvisare! Infine: formazione e aggiornamento professionale, a partire dai ragazzi che escono dalla scuola del Corpo, forti della teoria ma la pratica è tutt’altro”.
La Fp Cgil cosa sta facendo? “Continua e continuerà a denunciare all’Amministrazione le varie problematiche delle carceri lombarde, come quelle che ho segnalato. Chiediamo di incrementare le risorse per le assunzioni necessarie al Corpo della Polizia Penitenziaria, perché la forbice tra chi entra e chi esce non sia sempre negativa. Chiediamo politiche più attente alla sicurezza delle poliziotte e dei poliziotti e una modifica del regime unico per tutti gli istituti: non va bene, visto che le persone detenute non sono uguali. Chiediamo di essere ascoltati e che si prendano misure vere”.