25 Apr 2024
HomeBergamoLe vette da scalare della medicina generale tra le valli

Le vette da scalare della medicina generale tra le valli

Intervista a Tullia Mastropietro, Coordinatrice Cdrt 19 Media Val Brembana e Vice Presidente LAMG, e a Paola Nardis, Coordinatrice Cdrt 15 Alto Sebino e Coordinatrice FP CGIL Medici di Medicina generale di Bergamo. Giorgio Barbieri, coordinatore FP CGIL Mmg Lombardia: “Il tempo dell’attesa è esaurito: urge rivedere l’organizzazione complessiva del sistema sanitario, riaffermando il primato dei diritti sull’economia”

15 lug. 2022 – Sono note le difficoltà della medicina generale in città, ma qual è la situazione nelle valli montane? Ne abbiamo parlato con Tullia Mastropietro, Coordinatrice Cdrt-Centri di Riferimento Territoriali 19 Media Val Brembana e Vice Presidente LAMG-Libera Associazione di Medicina Generale, e con Paola Nardis, Coordinatrice Cdrt 15 Alto Sebino e Coordinatrice FP CGIL Medici di Medicina generale di Bergamo.

A caldo, Mastropietro è entusiasta, ma lo è per il “fantastico Wi-Fi” appena installato (ed è con questa connessione che ci parliamo, visto che nell’isolato ambulatorio di Camerata Cornello, uno dei sei in cui lavora, il telefono non prende). La passione non viene meno quando entra nel merito dei problemi. “La criticità maggiore è la dislocazione territoriale della Val Brembana con le sue valli collaterali. I sindaci ce l’hanno ben presente e chiedono assistenza sanitaria per i loro comuni, su un bacino di complessivi 40mila abitanti. Per questo hanno deciso di aiutare i medici di base mettendo a disposizione ambulatori comunali in modo quasi gratuito – racconta la medica iscritta alla CGIL -. Ma il nodo da sciogliere è quello di decidere di fare, e come, un’assistenza capillare alle persone. Abbiamo un’altissima prevalenza di anziani soli, con i figli che sono andati via. Prima riuscivamo a far fronte a tutti, ma ora, diminuiti i medici, lavorare nel nostro territorio è diventato un sacrificio”.

Sono state fatte proposte? “Si vorrebbe centralizzare il servizio ma toglierlo ai paesini sarebbe penalizzante per le persone, anche perché qui ci sono pochissimi mezzi di trasporto pubblici. Inoltre va considerato, dal punto di vista organizzativo, che un paziente anziano che va nell’ambulatorio medico del suo paese non solo mantiene la sua autonomia ma anche evita di fare richiesta di ulteriori servizi, cioè dell’assistenza domiciliare integrata. Se, viceversa, dovessimo trasformare tutto in Adi il servizio domiciliare collasserebbe. In definitiva, un sistema capillare è più tutelante per tutti” risponde Mastropietro.

L’Adi sta avendo già di suo un problema. “È un servizio troppo oneroso per gli enti di assistenza locali, solo un paio hanno deciso di erogarlo in Valle ma le cooperative incaricate hanno esaurito il budget e l’assistenza domiciliare si è fermata. Poi ci sono anche le cooperative senza personale o che ritengano il servizio poco conveniente. Questo significa niente medicazioni né esami per i pazienti, e noi medici di medicina generale non ce la facciamo a spostarci lungo le valli, da un paesino all’altro, per assistere tutte le persone, non possiamo farcela con costanza. Così non reggiamo”.

Quanti medici mancano? “Dovremmo essere in 26, ne mancano 7, considerando che 4 sono provvisori e 3 sono andati in pensione. La CAD (Continuità Assistenziale Diurna), che seguiva i pazienti rimasti senza medico, il 30 giugno scorso è stata soppressa, poiché era sovvenzionata con gli stessi fondi delle USCA, servizio a sua volta sospeso con nota ministeriale dal mese scorso. La CAD ci dava una mano facendo un po’ da tampone”.

Chi sono i medici provvisori? Per gli ambiti carenti l’Ats ogni 6 mesi fa dei bandi ma, non riuscendo a coprirli tutti, chiama medici che non hanno i requisiti, cioè che non hanno il titolo di medico di medicina generale. Sono pagati meno di noi pur facendo la stessa nostra professione e dovrebbero avere un ruolo temporaneo. Invece abbiamo medici provvisori da anni. Su di loro tanti temi si intrecciano” afferma Mastropietro.

Anche per i pazienti non è una bella situazione. “Per i cosiddetti ‘pazienti orfani’, cioè senza medico di base, l’Ats ci chiede di dare una disponibilità extraoraria, pagata. Per ora c’è, ma da settembre gestire gli extra, avendo molti di noi già aumentato il massimale, il quadro si farà drammatico, a partire dalle zone disagiate montane con più persone anziane”.

Che fare? “Va colto un aspetto positivo. Se prima in montagna c’erano i medici nativi, ora viene qui chi ha sensibilità per il contatto con le persone, per uno spazio clinico e insieme di incontro che è stato mangiato in altre realtà. Ma ci serve aiuto dalle istituzioni e dalla politica, sia dal punto di vista organizzativo che economico per affrontare le difficoltà mantenendo al centro la persona e rendere più appetibile il lavoro per i giovani medici, sgravandolo anche di tanta burocrazia. Devono ascoltare noi professionisti. Ci chiedono di fare medicina di gruppo ma è incompatibile con la nostra organizzazione se per fare un gruppo dobbiamo lavorare cinque giorni alla settimana tutti insieme: come possiamo coprire in modo adeguato gli ambulatori periferici? Incentivare la logica urbana ci ha esclusi. Il modello va rivisto completamente. Va studiata una forma associativa rispettosa della nostra realtà, con una rete riconosciuta sul piano organizzativo e finanziario. Se le Case di Comunità non punteranno a questo, ci sfracelleremo”.

“Anche in Alto Sebino abbiamo problematiche simili. La principale è una eccessiva burocratizzazione che ci impedisce di svolgere al meglio il lavoro – esordisce Paola Nardis -. Lavoriamo 14 ore al giorno, non abbiamo più una vita privata e non possiamo ammalarci. Io in ambulatorio vado anche con la febbre. E invece che trovare rinforzi ci fragilizziamo, con i tanti colleghi in fuga, tra prepensionamenti e giovani medici che abbandonano o non scelgono questa professione. In più, se andiamo avanti così, nel giro di due anni circa 150mila pazienti rimarranno scoperti”.

La sindacalista della FP CGIL Medici va giù duro: “Bisogna invertire la rotta al più presto o la situazione esploderà. Già ora ci sono pazienti che, esasperati perché senza medico di base, ci aggrediscono, non trovando le risposte sperate e dovute, con il diritto costituzionale alla salute che abbiamo nel nostro Paese”.

E oggi quanti sono i pazienti scoperti? “Al momento qui i 35mila pazienti, avendo alzato il massimale, sono abbastanza coperti dai circa 16 medici di medicina generale che lavorano senza posa e per come possono. Ma solo tra Castione della Presolana e Ponte Nossa, in Val Seriana, sono già almeno 4500 le cittadine e i cittadini senza medico e migliaia e migliaia nella bergamasca. E non è bello, né giusto vederli migrare da una parte all’altra, per chilometri e chilometri, elemosinando ricette”.

Oltre a più medici di famiglia cosa occorre? “Sburocratizzare – ribadisce Nardis – è un imperativo. E tutti gli attori del Servizio Sanitario Nazionale dovrebbero aiutarsi e lavorare in sinergia. Abbiamo anche bisogno di essere affiancati da personale amministrativo, per affidare loro pratiche che ci fanno perdere tempo a danno dell’attività clinica verso i pazienti. Inoltre sarebbe utile concedere affitti di ambulatori comunali a prezzi calmierati per aiutare i medici giovani ad inserirsi in quelle zone, in Val Seriana, ad esempio, i comuni chiedono affitti abbastanza elevati”.

Come ci si sente, da medico, a non riuscire ad assistere tutti? “Io sto malissimo e ormai siamo quasi tutti in burnout, esauriti. Abbiamo studiato tanto, scelto questo lavoro con la testa e con il cuore, e viviamo ogni giorno di più un senso di frustrazione. Il timore è che prima o poi ‘scoppi la bomba’, cioè qualche brutta aggressione o che qualcheduno possa fare una sciocchezza. Come sindacato, come FP CGIL, stiamo lavorando e lavoreremo tenacemente per migliorare le condizioni di questa professione e quindi del servizio da rendere alla cittadinanza. Ma abbiamo bisogno di essere in tante e tanti, di sensibilizzare quanto più possibile su questo tema che tocca il benessere delle persone e della collettività”.

Per Giorgio Barbieri, coordinatore FP CGIL Medici di Medicina Generale Lombardia, “Questi ultimi due anni hanno evidenziato quanto sia sbagliato operare manutenzioni ad invarianza di sistema. Occorre invece affrontare i nodi strutturali del Paese per evitare il ritorno a una ‘normalità’ malata già prima dell’epidemia. Assistiamo a segnali inquietanti di sofferenza sociale che destano preoccupazione – prosegue Barbieri -. Segnali che impongono alla Politica di riappropriarsi del proprio ruolo progettuale, con una visione di sistema e di futuro, cogliendo questa crisi come una opportunità, per un cambio del paradigma sociale dominante. FP CGIL Medici e Dirigenti Sanitari da tempo lavora a questo cambiamento sfidante e necessario, per realizzare il quale si assumerà anche la responsabilità di essere protagonista in una prossima stagione di mobilitazione e di protesta. Il tempo dell’attesa è esaurito: urge rivedere l’organizzazione complessiva del sistema sanitario, riaffermando il primato dei diritti sull’economia. Noi abbiamo una visione strategica forte – evidenzia -: serve un’alleanza sociale tra cittadini e lavoratori, per rifondare un servizio socio-sanitario nazionale, pubblico e statale, in modo da superare quella frammentazione regionale che non garantisce a tutti i cittadini della Repubblica gli stessi standard di salute”.

(La foto della Val Brembana è di Leopoldo Chiummo, Fp Cgil Bergamo)