Dall’attivo della Fp Cgil Lombardia la richiesta di investimenti, riconoscimento e valorizzazione professionale delle lavoratrici e lavoratori, di più assunzioni e della stabilizzazione dei precari, di più sicurezza sul lavoro. Dalla regione dove la sanità privata è equiparata alla sanità pubblica viene lanciato l’allarme sulla tenuta del Servizio sanitario nazionale pubblico e universale e l’appello a una mobilitazione comune per, invece, rafforzarlo e rilanciarlo
7 ott. 2022 – Com’è la sanità pubblica lombarda vista da dentro, attraverso l’esperienza di chi ci lavora? La radiografia mostrata oggi all’attivo regionale delle delegate e dei delegati Fp Cgil Lombardia segnala malattia, problemi seri.
In senso letterale, visto che senza provvedimenti concreti per invertire la rotta, la popolazione rischierà di rimpiangere come età dell’oro quella pessima dei tempi lunghi di attesa se diventerà un colpo di fortuna trovare nel pubblico chi ti cura, invece che un diritto costituzionalmente garantito.
Il filo rosso che oggi ha unito i racconti di operatrici e operatori sanitari, infermieri, fisioterapisti, tecnici della prevenzione e di radiologia, assistenti sociali della sanità pubblica della Lombardia resta la grande carenza di personale. A tre anni dall’arrivo della pandemia da Covid-19.
Le ricadute sulle lavoratrici e i lavoratori si misurano in insostenibili carichi di lavoro, stress, salti di riposo e di ferie, una crescente demotivazione professionale acuita dall’assenza della giusta valorizzazione. C’è chi denuncia gli straordinari non pagati, responsabilità attribuite ma non riconosciute, la formazione a cui non si partecipa perché non ci sono le forze e manca il tempo, e una stretta ai congedi che va a braccetto con la riduzione del tempo di vita personale.
Se nei pronto soccorso è l’inferno – aggravato dal venir meno della sanità territoriale e da medici di famiglia che si trovano col lanternino – anche per chi lavora a ranghi ridotti negli uffici amministrativi il clima non è roseo. In questo contesto, la fuga di personale dalla sanità pubblica verso quella privata o altri settori si spiega non solo come ricerca di migliori retribuzioni ma anche, più in generale, di spazi di maggior respiro.
Anche i concorsi pubblici stanno misurando la temperatura della situazione. Sono spesso poco partecipati, oppure vi accedono candidate e candidate dal Sud Italia che poi, una volta formati, fanno legittima richiesta di riavvicinarsi a casa. E così la coperta corta si restringe sempre di più, mentre nei servizi l’età media del personale cresce e le prospettive di ricambio si fanno sempre più grigie.
Senza contare l’aumento delle aggressioni a danno di queste lavoratrici e lavoratori, passati da angeli applauditi alle finestre sotto l’emergenza sanitaria a diavoli su cui addossare le colpe della malasanità, in quanto prima interfaccia di cittadine e cittadini esasperati da una crisi a più facce e che morde sempre di più. Mentre è proprio attraverso il loro sacrificio che si è fronteggiato il Covid e attraverso la loro buona volontà che la sanità pubblica resta in piedi.
A monte, manca senso della visione, un’organizzazione del lavoro e dei servizi che tenga conto dei fabbisogni di personale e dei fabbisogni di salute delle persone, di una popolazione che invecchia con pluripatologie, accanto all’aumentare del disagio mentale. È quasi un ossimoro: più c’è bisogno di sanità pubblica più si tagliano servizi.
Non solo. Si esternalizzano attività cuore del sistema, finanche la medicina dei pronto soccorso.
“L’emergenza pandemica e il ‘post’ pandemia hanno mostrato chiaramente l’assoluta necessità di investire su un sistema rinnovato e più solido di welfare pubblico e universale che garantisca a tutti il diritto alla salute, investimento che oggi, grazie alle risorse del Pnrr, si potrebbe avviare. Ma, come se il Covid nulla ci avesse insegnato, anziché assistere a progetti di potenziamento dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, continuiamo ad assistere a processi di privatizzazione, esternalizzazione e depotenziamento dei servizi pubblici – anticipa Manuela Vanoli, segretaria generale Fp Cgil Lombardia, aprendo i lavori -. Stiamo ripiombando in una dimensione nella quale i diritti sociali, e in particolar modo il diritto alla salute, diventano di nuovo subordinati alla compatibilità economica, anche e soprattutto a una tendenza verso il mercato privato piuttosto che alla difesa del sistema pubblico”.
Gilberto Creston, segretario Fp regionale con delega alle politiche sanitarie, parla subito della manifestazione nazionale che si terrà sabato 29 ottobre a Roma con lo slogan “Sanità, se non la curi non ti cura”, per poi ribadire la necessità di difendere e rilanciare il Servizio sanitario nazionale. Nel suo intervento, evidenzia l’importanza della sanità territoriale, della prevenzione oltre che della cura che non può avere “una risposta solo ospedaliera”. Guardando all’ultima riforma sanitaria regionale, considera come la legge 22 “non abbia modificato le riforme Formigoni e Maroni, come avremmo auspicato, ma le abbia portate a compimento”. Poi torna sul sacrificio sostenuto dalle lavoratrici e dai lavoratori, non sufficientemente riconosciuto e valorizzato, anche sul piano economico.
Creston guarda con preoccupazione, in vista del prossimo governo, alle ipotesi di “riduzione della spesa sanitaria nei prossimi anni, quando al contrario la stessa dovrebbe recuperare quanto perso negli anni scorsi. Inoltre qualcuno mette già in discussione il modello proposto dal decreto 77, per proporne un altro -aggiunge -, basato sull’attuale modello di funzionamento della medicina di base e delle farmacie. Modello già in parte decollato nella nostra regione, peraltro, che ha previsto, con una delibera di qualche mese fa, la possibilità di scegliersi il medico di famiglia recandosi in farmacia”.
Michele Vannini, segretario Fp Cgil nazionale, nel tirare le fila dell’attivo rincara la dose dei timori: “Siamo ancora dentro la pandemia, anche se il tema sembra derubricato”, c’è la guerra in Europa, la crisi economica e sociale, un governo che non è ancora costituito e dalle tante incognite.
Se il tema della perdita delle vocazioni alle professioni sanitarie, della scarsa attrattività anche per l’”inadeguatezza salariale”, del precariato crescente, dei problemi all’accesso ai servizi per la salute riguarda tutta Europa, per il dirigente sindacale bisogna “evitare che negli anni si arrivi a una modifica strutturale degli assetti del Servizio sanitario nazionale per come l’abbiamo conosciuto – sostiene -. Uno dei rischi che abbiamo di fronte al naso, oltre alla disgregazione del Ssn, è quello della disgregazione del senso del lavoro dentro la sanità nel nostro Paese”.
L’esodo delle professionalità sanitarie dal pubblico al privato o alla libera professione, il fenomeno dei ‘gettonisti’ sono campanelli di allarme. “Il mercato del lavoro è impazzito” e questo porta a un abbassamento dei diritti e del livello del costo del lavoro. Bisogna fare muro al “messaggio che lavorare nella sanità pubblica è lavorare per una ‘bad company’. Non possiamo permetterlo”, sottolinea, spendendo poi parole positive sull’ultimo rinnovo contrattuale che “è un pezzo del lavoro sindacale che stiamo facendo, in una mobilitazione importante, complicata”.
La manifestazione Cgil di sabato 8 ottobre, “Italia Europa, ascoltate il lavoro” sarà nuova occasione – prima della manifestazione unitaria del 29 ottobre – per riaffermare la necessità etica e strategica di investire nel servizio sanitario pubblico e universalistico, con un piano straordinario di assunzioni e la stabilizzazione di tutto il personale precario, “pre e post covid”, ricercatori sanitari inclusi.
“La posta in palio” è alta e coinvolge tutte e tutti, da chi eroga i servizi a chi li rivendica.