23 Jul 2024
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Sanità lombarda / Il cambio di paradigma necessario per le case della comunità

Elisabetta Orlandini, fisioterapista coordinatrice, delegata RSU alla Asst Spedali Civili Brescia, all’ultimo attivo della Fp Cgil Lombardia: “Il modello ospedaliero, fortemente gerarchico e burocratico, schiaccia le professioni sanitarie non mediche. Bisogna uscire da quello schema estremamente verticale”

18 ott. 2022 – Quelle di Elisabetta Orlandini, fisioterapista coordinatrice alla Asst Spedali Civili di Brescia, ma attiva anche sul territorio e delegata Rsu per la Fp Cgil, sono vere e proprie sferzate: negli ospedali lombardi “si verifica il sistematico abuso e sfruttamento della vocazione e del senso di responsabilità dei professionisti sanitari, che resistono perché sanno il valore del loro lavoro, sanno il bene che fanno, ma che, progressivamente, stanno cedendo”. Così le dimissioni “incidono profondamente nell’ambito sanitario”.

Perché stanno cedendo? “Anche per un crescendo costante di richieste. Il valore del lavoro non viene riconosciuto né economicamente né attraverso condizioni di lavoro in cui il valore possa realmente esprimersi nella bontà della cura, nella qualità della vita di chi viene curato, ma anche nella qualità di vita di chi cura, che non ha più una vita. Questi sono temi ben presenti alla Funzione Pubblica territoriale e sono al centro di iniziative di approfondimento e mobilitazione. All’interno della Rsu degli Spedali Civili, ad esempio, come Cgil stiamo cercando di fare in modo che diventino patrimonio condiviso di tutti, mentre all’Asst del Garda – aggiunge Orlandini – sindacato e Rsu unitariamente hanno attivato presidi partecipati da centinaia di lavoratrici e lavoratori”.

Il Covid ha fatto la sua parte. “Sembra che ci sia un perpetuarsi delle richieste e dei criteri gestionali attivati con l’emergenza generata dalla pandemia e una sorta di loro normalizzazione”, senza che tuttavia vengano “messe a risorsa le esperienze positive di condivisione, di confronto fra gli operatori”. Accade invece, ancora una volta, che ci sia “lo sfruttamento/abuso dei professionisti che ormai si sentono in colpa, per esempio, se stanno a casa in malattia. Perché sanno che questo ricade sui colleghi con perdita di riposi, ecc. Assistiamo ad un progressivo svuotamento di senso del lavoro – evidenzia la delegata Fp Cgil Brescia -, del quale vengono riconosciute esclusivamente le competenze tecnico-normative e cognitive (la prestazione), mentre le competenze relazionali, che sono quelle che contribuiscono davvero alla dimensione del senso, e sono preziose per la cura, non vengono considerate”.

Orlandini descrive Brescia come “la più grande provincia, per estensione, di tutta Italia. Ha una parte montuosa, tre valli, tre laghi, una vasta pianura. Quindi bisogni e problematiche di accesso ai servizi molto differenziate. Io ho in carico la riabilitazione domiciliare, per esempio, della Val Trompia e nell’alta Val Trompia, se penso di partire dal centro della città, in assenza di traffico impiego un’ora e mezza – racconta -. La grande partita delle case della comunità, con un territorio così, assume forse una valenza più forte, proprio perché si tratta di un’opportunità per raggiungere cittadini più lontani e con più difficoltà di accesso ai servizi”.

Dell’ultima riforma sanitaria regionale, Orlandini più che ragionare sulla problematica “dei fondi disponibili per le strutture e non per il personale che non c’è proprio”, pone il focus sul modello organizzativo delle case della comunità. Non solo c’è “una discreta confusione” su cosa queste “debbano essere e come si debbano relazionare con il territorio”, mentre, per il momento, sono “costruzioni un po’ vuote”. Ma c’è anche un modello ospedaliero che, “fortemente gerarchico e burocratico”, finisce con lo schiacciare “le professioni sanitarie non mediche”, impedendo “la valorizzazione multiprofessionale”.

Quindi, per le case della comunità? “Bisogna uscire da quello schema estremamente verticale. Una casa della comunità ha bisogno di organizzarsi attraverso strutture più orizzontali, reticolari, di condivisione tra diverse professioni e con delle responsabilità diffuse”. E qui Orlandini cita il sociologo Sergio Manghi sull’importanza di “cogliere la portata fuori dell’ordinario dell’occasione offerta da questa cospicua novità ai nostri territori eco-sociali, da tempo in sofferenza per le crisi laceranti in atto, oggi drammatizzate dal trauma pandemico”. Di saper fare fruttare, per la realizzazione delle case della comunità, i “mondi interi di esperienze sul campo”, le “esperienze di incessante rammendo rigenerativo dei tessuti relazionali quotidiani – interpersonali, interprofessionali, organizzativi, territoriali”. Condividendo, così, “l’idea che le case della comunità possano o potrebbero essere un’opportunità davvero trasformativa per il sistema sanitario e sociale”.

Ma è anche necessario, per questo, che queste “non diventino nuovamente delle occasioni di penetrazione del privato e che la comunità chiamata ad operare sia interprofessionale e che favorisca l’integrazione tra sanitario e sociale”.

Come fare? “È necessario un importante cambio di paradigma, non solo legislativo ma anche di pensiero e di rappresentazione di quello che per noi è il nostro ruolo e il nostro lavoro. A questo proposito, per il prossimo 1° dicembre la Fp Cgil di Brescia sta programmando un incontro con tutte le realtà istituzionali del territorio – Comune, ospedali, Rsa, strutture del sociale, ecc. – per capire come si può procedere insieme”.

L’occasione dà spazio per citare anche l’architetto Renzo Piano, sulla rigenerazione delle periferie: “C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee”. La parafrasi di Orlandini è chiara: “Oltre alle dovute rivendicazioni, dobbiamo noi in primis provare a cambiare delle rappresentazioni, ad avere idee che possano andare a trasformare il contesto in cui viviamo”.