Lazzaroni (Fp Cgil Brescia): “Preoccupante situazione nelle strutture sanitarie, c’è poco personale e ko. Negli ospedali bresciani le lavoratrici e i lavoratori preferiscono licenziarsi pur di cambiare passo. Imperativo è assumere e motivare, e bisogna investire sulla prevenzione attraverso politiche per una sanità di prossimità che riduca la pressione sugli ospedali”
28 feb. 2023 – Le liste d’attesa in sanità pubblica, alle condizioni attuali, contengono una singolarità: significano tempi anche lunghi per le cittadine e i cittadini e ritmi vertiginosi, invece, per le lavoratrici e i lavoratori.
“Senza un piano straordinario di assunzioni, continuando a permanere le carenze di organico, il personale sta andando in tilt: finita la fase acuta del Covid, le strutture sanitarie, spinte dalla Regione, stanno cercando di recuperare visite e prestazioni, ma le forze in campo sono sempre le stesse, anzi stanno diminuendo proprio perché non è per tutti reggere situazioni così impegnative”, afferma Nadia Lazzaroni, segretaria Fp Cgil Brescia.
Regione Lombardia non dà incentivi a chi lavora di più? “I riconoscimenti economici, quando ci sono e vengono resi operativi, possono fare la differenza (vedi le sedute operatorie pagate come ore incentivate) ma la qualità del lavoro e della propria vita lo è di più. All’ospedale di Desenzano, per esemplificare una situazione che coinvolge anche tutta la nostra provincia, le lavoratrici e i lavoratori si rifiutano di fare le sedute incentivate in sala operatoria, e in tutto il territorio molti operatori sanitari si stanno dimettendo per il troppo stress.
Quindi? Di fatto, negli ambulatori delle tre Aziende socio sanitarie territoriali, spesso a causa della carenza di organici, il recupero delle liste di attesa non è neppure pensabile. Le lavoratrici e i lavoratori non vogliono più essere spremuti: dopo la pandemia in cui non si sono risparmiati, ora esigono il giusto rispetto, di essere riconosciuti persone, portatrici di diritti legati alla propria professionalità e di bisogni in quanto esseri umani.
E così continuano le dimissioni. Quando il lavoro pubblico chiede troppo e dà in cambio poco, ogni lavoratore trova la soluzione a lui più consona. C’è chi si dimette per intraprendere una nuova fase lavorativa come partita Iva, puntando a guadagnare di più come gettonista, per offrirsi nelle varie realtà della provincia (penso alle Rsa o alla spedalità privata). Questo guadagno si realizza penalizzando i diritti e precarizzando il lavoro, in un’ottica che poco si addice alle attività di cura cui tendere per una sanità che dovrebbe rimettere al centro la persona e non la prestazione – argomenta la sindacalista -. Ma non si tratta sempre di migliorare le condizioni di lavoro, a volte si cambia semplicemente per poter contrattare orari ad hoc più consoni alla propria vita e per farlo ci si sposta verso le Rsa o le cooperative, insomma si sceglie il meno peggio rispetto alle proprie esigenze”.
La sanità pubblica restringe il suo perimetro. “Il problema nel pubblico è la mancanza di personale, assumere è la soluzione. Ma senza professionisti pronti a prendere servizio per una carenza di programmazione di cui nessuno si assume la responsabilità e senza risorse economiche adeguate per allineare gli stipendi agli standard europei, non sarà possibile arginare la fuga verso altre strade – sostiene Lazzaroni -. Il rischio ormai evidente è viziare l’offerta di salute in un mercato al miglior offerente che, come immaginabile, non potrà essere il pubblico, che ha vincoli contrattuali ed economici, e questa, sì, è la nostra più grande preoccupazione”.
Proposte? “Come ho già detto, occorre potenziare il numero degli organici e organizzare il lavoro in modo che rimotivi le professionalità in campo, facendole sentire lavoratrici e lavoratori protagonisti del proprio tempo, di vita e di lavoro. È fondamentale poi rendere nuovamente appetibili le professioni sanitarie rilanciando a livello nazionale e locale il loro grande valore e adeguando gli stipendi al tipo di impegno richiesto”.