A colloquio con Antonio Lenzi, ex navigator, ora dipendente del Centro per l’impiego di Gallarate e delegato Fp Cgil Varese. “Da quanto si è visto dalla bozza, l’impianto generale è peggiorativo rispetto al Rdc ma non lo snatura. Il punto vero è che ci mettono meno soldi. E si continua a non rafforzare le politiche attive del lavoro”
8 mar. 2023 – La misura che prenderà il posto del Reddito di Cittadinanza è ancora un canovaccio e la Cgil ha già criticato il metodo del Governo che, fino ad ora, non si è confrontato né con i sindacati né con l’Alleanza contro la Povertà. “Non c’è stato nemmeno confronto parlamentare, e magari finirà, visto il termine ultimo del 1° settembre, che la approveranno con un decreto legge – afferma Antonio Lenzi, ex navigator, ora dipendente del Centro per l’impiego di Gallarate e delegato Fp Cgil Varese –. Da quanto si è visto dalla bozza, l’impianto generale è peggiorativo rispetto al Rdc ma non lo snatura. il punto vero è che ci mettono meno soldi”.
Dall’idea che ti sei fatto, che impatto avrà sul lavoro dei Cpi la Mia, se così si chiamerà, cioè la nuova misura di inclusione attiva? “Intanto, tutti i beneficiari devono iscriversi al portale che ancora non c’è. E non si tiene conto che queste persone hanno capacità digitali molto basse, saranno in difficoltà e si rivolgeranno a noi. Bisogna capire, ribadisco, che siamo di fronte a un’utenza complessa che deve poter avere in mano uno strumento utile e quella del portale non è la risposta. L’intuizione di fare seguire i percettori del Rdc dai navigator, affiancando i Centri per l’impiego, era stata giusta: queste donne e uomini hanno bisogno di un approccio personalizzato”.
Come mai insisti sulla platea dei percettori? “Bisogna uscire dall’idea che prendono il Rdc perché non lavorano e preferiscono stare a casa. Sono invece spesso utenti ultra quarantenni, espulsi dal mondo del lavoro per diverse ragioni, dai problemi per carichi familiari a infortuni intercorsi, o perché con bassi livelli di professionalizzazione o perché attivi in un campo dove le trasformazioni del mercato del lavoro hanno reso difficile un loro reinserimento. Con loro bisogna fare un lavoro lungo e complesso – sottolinea Lenzi -. E qui bisogna uscire dall’equivoco per cui le attività dei Cpi devono misurarsi più in quantità che in qualità”.
Un esempio concreto? “Qualche giorno fa, al Cpi di Gallarate, si è presentato un uomo che, a causa di due ernie, non può più fare il cuoco. Allora noi dobbiamo capire cosa può fare, dove si può reimpiegare. Ha lavorato nelle cucine, quindi conosce il settore della ricezione, potrebbe lavorare come maître, con un ruolo di coordinamento nelle strutture alberghiere. Ma questo è già un caso più solido. La stragrande maggioranza di chi si presenta ai centri per l’impiego ha avuto esperienze lavorative brevi e saltuarie, magiari 2 mesi in Amazon, 3 mesi al posteggio di Malpensa, un periodo da cameriere, e così via. Insomma, non hanno un profilo lavorativo forte e con loro bisogna costruire un percorso che va oltre i corsi di formazione, che servono più per avere un orientamento”.
Con la Mia ci sarà una stretta dei beneficiari. “Non è detto. Tagliano i pre-requisiti per accedere ma risolvono un vulnus, grazie alle bacchettate dell’Unione Europea, con la riduzione da 10 a 5 anni di residenza in Italia per poter fare domanda. Questo apre la strada a una platea non quantificabile e non è detto che a beneficiarne sarà un numero minore di persone – replica Lenzi -. Il taglio è all’assegno ma la platea tutto sommato credo che rimarrà simile”.
Com’è la situazione oggi nei Cpi? “Per la mancanza di informazioni da parte del Governo, già ora arrivano da noi, e anche nei servizi sociali dei Comuni, tante persone angosciate. Dal 1° agosto il Rdc per chi è occupabile finisce, e dopo? Con questo sussidio ci campano e viene tagliata completamente anche la quota data per l’affitto o il pagamento del mutuo. Passare da 500 euro più 200 euro per l’affitto, a un assegno di soli 375 euro, avrà un impatto forte. Il quadro, già precario, si farà più complicato”.
Il delegato della Fp Cgil rimarca, infine, un punto centrale: “Nella bozza della nuova misura manca il rafforzamento delle politiche attive per il lavoro, non ci sono risorse in più. Quando servirebbe, ad esempio, l’assunzione apposita di personale specialistico, dai mediatori culturali agli psicologi del lavoro o agli addetti al marketing. I non occupabili resteranno ai comuni, gli occupabili ai Cpi, senza dare ai centri alcuno strumento. Con l’arrivo del Rdc era stato predisposto anche un potenziamento dei Centri Impiego ed erano stati introdotti i navigator. In questo caso, invece, nessuna novità sul fronte delle politiche attive. Peraltro, i concorsi regionali che dovevano immettere nel sistema 11.600 operatrici e operatori in più fanno fatica a realizzarsi e fino ad ora sono entrate solo 4.000 unità in più a livello nazionale. Ma di queste, già circa il 20% abbandona per offerte migliori, a cui si vanno ad aggiungere frattanto i pensionamenti. La Lombardia, è bene ricordarlo – aggiunge Lenzi – è l’unica regione ad aver affidato alle Province, svuotate di risorse, i Cpi, mentre nel resto d’Italia i dipendenti sono regionali e hanno retribuzioni migliori e migliori benefit”.