7 Jul 2024
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Carceri lombarde fuori misura: umana e professionale

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La Lombardia seconda dopo la Puglia per sovraffollamento detentivo, mentre continua la carenza di personale, dagli agenti penitenziari agli educatori, tra gli altri. La denuncia della Fp Cgil regionale, con i coordinatori Calogero Lo Presti (Polizia Penitenziaria) e Andrea De Santo (DAP), e il segretario Dino Pusceddu

8 gen. 2024 – “Le carceri scoppiano, il sovraffollamento si fa sempre più pesante e in Lombardia, medaglia d’argento dopo la Puglia, la percentuale di persone detenute è del 142%: 8733 (di cui 438 donne) invece che le regolamentari 6152”. Così Calogero Lo Presti, coordinatore Fp Cgil Lombardia della Polizia Penitenziaria, a fronte degli ultimi dati disponibili, riferiti al novembre 2023. “La Puglia è prima per sovraffollamento, al 150% (4475 detenuti vs i regolamentari 2912), ma la Lombardia ha quasi il doppio dei detenuti. Il bilancio di fine anno è negativo e la situazione è pure peggiorata! Ad esempio, ci riferiscono che al carcere di San Vittore ci sono detenuti che dormono per terra da settimane”.

Quali sono gli istituti penitenziari messi peggio? “Maglia nera è il Nerio Fischione di Brescia, più noto come Canton Monbello (con un tasso di sovraffollamento detentivo del 200%). Poi ci sono quelli di Como (186%), Busto Arsizio (176%), Bergamo e Brescia Verziano (174%), Lodi (173%), Monza e Varese (172%). Ma nessuna casa circondariale o di reclusione sta bene, se si eccettua, da questo punto di vista, la casa circondariale di Voghera che però è al completo – risponde Lo Presti -. E gli istituti non stanno bene anche per problemi ormai cronici, dalla fatiscenza strutturale alle carenze di personale trasversali a tutte le figure professionali, Polizia Penitenziaria in testa. Insomma, vivere e lavorare in carcere è dura”.

“L’aspetto principale è che questi numeri sono in aumento e non è possibile immaginare come fermarli, vista ora la forte punibilità di una massa di reati più lievi. Il sovraffollamento impatta sulle strutture, la vivibilità quotidiana, la convivenza e si lega al forte sottodimensionamento degli interventi trattamentali”, afferma Andrea De Santo, coordinatore Fp Cgil Lombardia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). Da funzionario giuridico pedagogico qual è, per primo evidenzia come l’attività degli educatori sia legata agli organici anche della Polizia Penitenziaria. “Ancor più durante le ferie ci si rende conto di quanto si è striminziti, di quanto le scoperture siano significative: per mancanza di agenti, a Milano Opera, dove lavoro, nel pomeriggio si chiudono ad esempio la biblioteca e l’area pedagogica. E con grandi sforzi riusciamo a tenere aperti di mattina, perché anche il personale civile si riduce. E con le ferie programmate è super tangibile. Una razionalizzazione di tutto il personale e i fabbisogni assunzionali sono un dato oggettivo anche per noi delle Funzioni Centrali. Le ripercussioni non sono solo in termini quantitativi ma anche qualitativi”.

Cioè? “Troppe persone detenute e pochi educatori ed educatrici significa garantire, se va bene, dei livelli standard e non quella qualità che dovrebbero avere, ad esempio, i progetti di reinserimento che si elaborano nelle case di reclusione. Farlo è impegnativo, richiede tempo e risorse professionali e noi siamo impegnati in una moltitudine di attività diverse – risponde De Santo -. Il sottodimensionamento è un dato ma va anche relazionato alla visione complessiva del sistema: rispetto a cosa saremmo in numero adeguato? I numeri sono fissati per la mera gestione non per la qualità dei percorsi da costruire per le persone, per mettere a valore esperienze di crescita. E qui aggiungo anche un altro tema: quando l’esecuzione penale è fuori dal carcere il problema non è il numero dei posti ma quello della moltitudine di operatori necessaria a sostenere e accompagnare queste persone nel loro percorso residenziale (non necessariamente detentivo), persone che hanno bisogno di orientamento, di cure, di Sert (i servizi per le tossicodipendenze), di servizi per la salute mentale, di assistenti sociali. Purtroppo il territorio si è impoverito di tutte queste risorse. E poi… – prosegue il sindacalista – noi possiamo costruire tanti percorsi individuali ma poi serve per loro una casa, un lavoro. Così, abbiamo un sovraffollamento in entrata e uno in uscita, soprattutto quello delle misure alternative, con flussi rallentati per le carenze negli organici delle Funzioni Centrali del carcere e per la crisi profonda del territorio. Il carcere senza territorio non costruisce reinserimento”.

Dal canto suo, Lo Presti denuncia, per la forte carenza di personale nella Polizia Penitenziaria, “carichi di lavoro insostenibili, che vengono anche aggravati da persone detenute con problemi di salute mentale, dalla difficoltà di gestire tante persone, di nazionalità, religione e culture diverse, ristrette insieme in condizioni complicate. Il sovraffollamento di certo non aiuta a migliorare la situazione e noi siamo sempre in allerta per le possibili risse interne, gli atti di autolesionismo o vandalici, i tentativi di suicidio che, purtroppo, non sempre riusciamo a fermare. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha disposto la chiusura delle persone detenute nelle camere di pernottamento invece che potenziare gli organici e riformare in meglio il sistema carcerario nel suo complesso – sottolinea il coordinatore regionale -. Al momento, le aggressioni nei nostri confronti sono diminuite ma siamo preoccupati per i possibili prossimi scenari, considerando i provvedimenti populisti e in ottica securitaria presi dal Governo rispetto all’inasprimento di alcune pene e l’introduzione di nuovi reati. Le carceri sono sotto pressione e senza interventi adeguati la temperatura non potrà che surriscaldarsi, con conseguenze ancora non immaginabili e a dispetto anche della missione sociale che la Costituzione assegna a queste strutture. Per questo, come Fp Cgil e con la nostra Confederazione, continueremo a impegnarci per affermare il rispetto delle persone che vivono nel carcere e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”.

Anche De Santo insiste sui fabbisogni di personale. “Stiamo nel deserto, aspettando l’inserimento degli educatori dell’ultimo concorso a cui forse si aggiungerà la lista degli idonei. Poi bisognerà vedere quanti rinunceranno a venire al Nord, visti i costi della vita da sostenere, ad esempio gli affitti”, rileva. E anche lui fa un affondo sull’Esecutivo: “Siamo solo agli inizi degli effetti del Governo Meloni che si agganciano al maggior flusso di detenuti dopo una fase più piana avuta sotto l’emergenza del Covid. Questo Governo il problema del carcere non se lo pone proprio, non lo considera un sistema complesso di persone e relazioni, non si pone il tema di come gestirle. A maggior ragione quando, nei contesti chiusi, il rischio è che si abbiano dinamiche più conflittuali”.

Ti riferisci al ritorno alle celle chiuse? “Premetto che, dal punto di vista pedagogico, l’apertura delle sezioni non funziona se le persone detenute restano senza fare nulla. Il processo di chiusura delle celle è iniziato con la circolare dipartimentale del luglio 2022, che prevedeva, in parallelo, anche un incremento delle attività trattamentali, soprattutto per le persone più problematiche e di difficile gestione, e quindi per loro bisogna costruire un intervento più attento. Con circolare successiva, è stata applicata solo la disposizione della chiusura ma non quella di aumentare le attività, rimasta lettera morta. E così, con la cella, si chiude il cerchio… Per il nostro lavoro, l’eterogeneità delle persone è sempre stata una risorsa – prosegue Del Santo – ma ora è sempre più difficile. Senza una visione a monte del sistema carcerario, del mondo umano e professionale che lo anima, degli obiettivi da darsi e del che cosa fare, non rispetteremo il mandato della nostra Costituzione che invece, come Cgil, vogliamo concretamente realizzare”.

“Non investire nel settore pubblico significa ridurre nel concreto i diritti di cittadinanza: questo è senz’altro evidente per chi vive negli istituti penitenziari. I dati di sovraffollamento delle carceri, insieme alla scarsità del personale che vi lavora, rischia di creare condizioni di vita inumane – dichiara Dino Pusceddu, segretario Fp Cgil Lombardia -. Oltre a ciò, non possiamo accettare che le lavoratrici e i lavoratori delle carceri, siano agenti, amministrativi o professionalità sanitarie, entrino in ambienti di lavoro fatiscenti e non siano messi nelle condizioni da un lato, di lavorare in modo sicuro per la loro salute e incolumità, dall’altro di essere valorizzati in quanto patrimonio di professionalità costruito negli anni al servizio di chi è più fragile. Il Governo – aggiunge il dirigente sindacale -, invece che investire sulle strutture, sui servizi e sul personale, aggrava le condizioni di sovraffollamento con scelte in apparenza securitarie ma che non fanno altro che aumentare il numero di persone detenute in istituti già al collasso”.

Pusceddu inoltre ricorda la condanna da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo. “L’Italia è già stata condannata nel 2009 per i trattamenti inumani e degradanti a cui erano sottoposti i detenuti a causa del sovraffollamento e stiamo velocemente raggiungendo la stessa situazione come ha evidenziato anche l’Associazione Antigone nel suo report di fine anno. Come Fp Cgil faremo la nostra parte nel rivendicare dignità e rispetto delle persone e dei loro diritti: sia per chi deve scontare una pena sia per chi, nei vari ruoli, ha il compito di far funzionare il sistema carcerario come da mandato costituzionale, e a cui vanno riconosciute condizioni salariali all’altezza del compito e valorizzazione professionale. E per funzionare bene è necessario e urgente, a tutti i livelli, un piano straordinario di assunzioni. Diversamente la pena, in questo caso, sarebbe il rischio collasso di tutto il sistema”.