26 Sep 2024
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Asst Pavia / Cosa vuol dire lavorare in pronto soccorso

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Sturini (Fp Cgil): “I Ps sono ancora un appiglio per la popolazione ma, date le pesanti condizioni che vivono, non si sa ancora per quanto. Dobbiamo difendere e potenziare il Servizio Sanitario Nazionale nel suo complesso, un bene comune e di ciascuno”

20 sett. 2024 – Lavorare nei pronto soccorso è sempre più difficile e più rischioso, come purtroppo testimoniano continui fatti di cronaca. I pronto soccorso sono diventati ricettacolo dei problemi di salute in senso ampio e non delle strette emergenze, come dovrebbe essere. Ma, come continua a denunciare la Fp Cgil a tutti i livelli, finché la sanità territoriale non sarà rafforzata, finché i medici di medicina generale continueranno a diminuire mentre i pazienti aumentano, finché tutta la sanità pubblica non riceverà forti ricostituenti in termini di personale e investimenti, la situazione difficilmente potrà migliorare.

Le condizioni di lavoro sono dure per ogni figura professionale, vedi alla Asst Pavia.

Marianna, nome di fantasia, fa l’infermiera e così descrive la grave realtà delle aggressioni: “Sempre più spesso siamo aggrediti da parenti e pazienti che si presentano nei pronto soccorso e non perdono occasione di inveire nei nostri confronti nel caso in cui non vengano rispettati i loro standard di assistenza. Ciò che mettono in dubbio sempre più frequentemente non è la professionalità degli operatori ma il tempo d’attesa dal momento del triage al momento della presa in carico del medico e della restituzione di notizie certe riguardo una diagnosi, un perché del manifestarsi dei sintomi e una destinazione del paziente per il prosieguo delle cure – spiega -. Le aggressioni che subiamo quotidianamente e da cui, sempre più spesso, ci sentiamo sopraffatti, al punto da decidere o anche solo pensare di chiedere il trasferimento in un’altra unità operativa o, addirittura, di abbandonare la nostra professione, non sono tanto quelle fisiche (anch’esse quasi all’ordine del giorno) ma gli insulti, le minacce, le prese di posizione da parte di quanti pensano di poter aggirare il sistema perché non trovano risposte da parte del territorio”.

Secondo la lavoratrice, la fuga dei professionisti dai pronto soccorso da un lato “è dovuta alla scarsa informazione”, in generale, della popolazione rispetto alla funzione di questi presidi dell’emergenza-urgenza, dall’altro alla “frustrazione e senso di impotenza” delle stette operatrici e operatori. “Non riuscire a soddisfare la richiesta dell’utenza non è un vanto per chi cerca, ogni giorno, di gestire le reali emergenze nei tempi più brevi e di offrire assistenza anche a quanti si presentano con dei codici minori”. E, per inciso, anche sull’assegnazione dei codici di priorità si creano malumori.

“Le situazioni di tensione provocano in noi un grande stress e un carico emotivo importante che inconsciamente riportiamo nelle situazioni di cura e, a cascata, nelle nostre vite private – rimarca Marianna -. Il non sentirsi adeguati sul lavoro provoca sentimenti negativi che ci fanno prendere in considerazione l’idea di trovare un posto di lavoro più tranquillo, meno affollato o con un carico di lavoro meno stressante”, ribadisce.

Patrizia Sturini della Fp Cgil Pavia ci parla della situazione del personale medico. 

“Ci hanno segnalato che in pronto soccorso spesso le ore di lavoro superano la norma contrattuale e che la sola nota positiva sono prestazioni aggiuntive di recente ben retribuite. Un aspetto critico legato alla carenza dei medici di ruolo è il ricorso ai liberi professionisti: non solo, a volte, non lavorano di notte o nei fine settimana ma, spesso, si impuntano anche su turni già prestabiliti. Inoltre, siccome in gran parte non sono specialisti, vengono impiegati nei codici minori del pronto soccorso. Tutto ciò, alla fine, significa che i carichi maggiori gravano sempre sui soliti e pochi noti”.

È immaginabile la situazione in caso di camici bianchi in malattia…

“Già. La carenza di personale medico diventa ancora più pesante quando bisogna coprire una malattia, improvvisa o lunga – racconta Sturini -. I liberi professionisti sono indisponibili a lavorare oltre i loro turni, vuoi perché magari prestano attività altrove, vuoi perché evitano di saltare ferie o riposi. Di conseguenza, la vita dei medici di ruolo è alla giornata. E anche programmare le ferie con un certo anticipo diventa complicato”.

Uno dei nodi più stretti da sciogliere è l’accesso improprio ai pronto soccorso.

“Sì, la sanità territoriale, i servizi ambulatoriali non riescono a rispondere in modo adeguato ai molteplici e crescenti fabbisogni di salute. Le liste d’attesa sono lunghe e magari prestazioni ed esami sono programmati in strutture lontane, le persone vanno sempre più in ansia e il pronto soccorso è il solo appiglio. Non sappiamo, però, ancora per quanto – considera Sturini -. I medici, come altre figure sanitarie, stanno fuggendo. Come ci viene riferito, i turni sono di 12 ore e senza un attimo di respiro, notte e giorno si confonderebbero se non fosse che la notte gli ambulatori specialistici sono chiusi e ci sono servizi con personale ai minimi termini e tutti i rallentamenti conseguenti. E poi i pazienti sono diversi, ci sono persone che richiedono attenzioni e interventi più lunghi e ripetuti, ci sono casi complessi, persone che arrivano in stato di sofferenza emotiva o arrabbiate per mille ragioni, magari per cure che non hanno avuto l’esito sperato. Siamo in una fase – come mi è stato sottolineato – in cui a fatica si accetta la stessa idea di malattia. Le persone cercano risposte veloci, alla mano, prima consultando internet. E pensano che le cure risolutive ci siano sempre, per cui se il medico non sa cosa fare allora è un incapace. Questo, ovviamente, è frustrante per la professione”.

Eppure il senso della propria missione sa essere più forte.

“Tanti sono i motivi che portano a resistere al lavoro in pronto soccorso: il dovere civico; il voler prendersi cura della comunità di appartenenza; capire che si fa la differenza per la salute delle persone, insieme alla gioia e soddisfazione di quando i problemi di salute vengono risolti. E sì, a monte, c’è una grande passione, coltivata con anni di studio e aggiornamento. Da non dispendere! – avanza Sturini – Per questo come Fp Cgil da tempo rivendichiamo interventi lungimiranti e mirati, per questo continuiamo a lottare per difendere e potenziare il Servizio Sanitario Nazionale nel suo complesso, un bene comune e di ciascuno. Noi vogliamo che il diritto alla salute sia esigibile da tutte le persone e in tempi adeguati e vogliamo condizioni di lavoro migliori e sicure, un contratto forte e valorizzante, per chi si cura di loro”.