Bruno Zecca, segretario Fp Cgil Medici Lombardia, racconta le condizioni difficili del sistema emergenza-urgenza, tra carenze di personale, carichi di lavoro estenuanti e il ricorso ai medici gettonisti. “Il 29 novembre scendiamo in piazza per chiedere un cambio di rotta”
15 nov. 2024 – Lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil per il 29 novembre prossimo si preannuncia come una giornata di mobilitazione importante per il futuro della sanità pubblica in Italia.
E infatti medici, veterinari e la dirigenza sanitaria rispondenti alle categorie delle due confederazioni saranno in prima linea nel denunciare la crisi che sta mettendo in ginocchio il servizio sanitario nazionale, aggravata da una legge di bilancio che, senza gli investimenti necessari, renderà ancora più complicato erogare servizi di qualità e accessibili a tutte le cittadine e i cittadini.
Bruno Zecca, segretario Fp Cgil Medici Lombardia, lavora in pronto soccorso e lo abbiamo intervistato per offrire uno spaccato della difficile situazione che vivono queste realtà ospedaliere.
“Siamo a una vera emergenza nell’emergenza in tutto il sistema dell’emergenza-urgenza – esordisce usando l’iterazione -. Mi riferisco alle migliaia di ore di lavoro per garantire non solo la presenza continua nei pronto soccorso ma anche nelle terapie intensive, nella radiologia d’urgenza. Per garantire le consulenze, le sale operatorie, le guardie ospedaliere, le emergenze extra-ospedaliere o territoriali. Questo sistema, che è lo scheletro su cui poggia il nostro Ssn, sta pericolosamente scricchiolando”.
La situazione è così grave?
“Forse non è ancora ben chiaro né alla cittadinanza né agli organi di stampa quale sia la vera posta in gioco, il rischio che stiamo correndo tutti quanti se non invertiamo questa tendenza – risponde – . Eppure, durante l’urto pandemico del Covid, soprattutto in Lombardia, è risultato evidente cosa vuol dire crisi del sistema dell’emergenza-urgenza, un collo di bottiglia in cui abbiamo rischiato di perdere la partita – risponde Zecca -. Per fortuna quel sistema – che non è un termine astratto, ma sono donne e uomini in carne e ossa che hanno messo i propri corpi a difesa di altri cittadini, a difesa della salute pubblica – ha retto. Ma chi proteggerà domani noi e i nostri familiari di fronte a un incidente o a un’emergenza o a una nuova pandemia se i pronto soccorso saranno senza personale? E la politica cosa fa? La politica rifugge il termine di emergenza probabilmente per l’incapacità a mettere in atto azioni adeguate”, rileva.
Quindi questo sistema a breve potrebbe non reggere più?
“Le lavoratrici e i lavoratori sanno bene l’impatto che ha, sulla vita lavorativa e privata, essere parte attiva dell’emergenza-urgenza: guardie, notti, pronte disponibilità. Stanchezza, sonno arretrato, desincronizzazione dei ritmi circadiani. Facciamo i medici, è palese che alcune condizioni di lavoro sono dannose per la salute. Condizioni che fanno parte della nostra professione, ma che necessitano di una protezione specifica e di un’attenzione alla sostenibilità a lungo termine del sistema”.
Quali sono le maggiori criticità dei pronto soccorso?
“Tutto il capitolo delle condizioni di lavoro è stato sacrificato sull’altare di uno pseudo efficientismo, che mira solo a riempire le caselle dei turni per arrivare a fine mese o chiudere il budget. Questo ha trasformato il pronto soccorso in ‘un ospedale nell’ospedale’, una camera di compensazione per una gestione sanitaria territoriale fallimentare, con tutto il peso sociale e assistenziale che ne deriva, e punto di assorbimento il punto di assorbimento di tutto quello che l’ospedale non riesce a garantire”.
La figura dei medici d’urgenza ha avuto una sua evoluzione?
“Sì, e penso ai tanti colleghi e colleghe che negli ultimi decenni hanno lottato per dare il giusto riconoscimento professionale al medico dell’emergenza-urgenza. Hanno lottato contro una mentalità, prettamente amministrativa, che vedeva il pronto soccorso solo come un luogo di gavetta per accedere poi all’ambito ospedaliero. Hanno lottato per costruire questa figura polivalente in grado di affrontare problemi complessi in contesti complessi, e di integrarsi perfettamente con colleghe e colleghi di altre discipline e altre figure professionali. Hanno lottato per una figura fondamentale in qualsiasi sistema sanitario. Per una figura che ha sempre suscitato entusiasmo negli studenti, nei giovani che si avvicinavano a questo lavoro, perché, nonostante il carico di fatica e stress, lo capivano che questa è una professione che, ogni volta che torni a casa dopo un turno, ti lascia sempre la sensazione di essere stato utile”.
Eppure, questa professione non sembra più attrarre come un tempo…
“Già, viste le condizioni pesanti in cui ci ritroviamo e le prospettive che si intravedono. Molti di noi avevano salutato con apprezzamento l’istituzione della Scuola di specializzazione di Medicina d’Urgenza, perché i nostri futuri colleghi e colleghe potessero avere ciò che noi non abbiamo potuto avere. I primi anni la partecipazione è stata entusiastica. Oggi il tasso di abbandono è, invece, piuttosto elevato, circa il 50%”.
Cosa pensi del ricorso ai medici gettonisti?
“Quello dei gettonisti è un virus che si è introdotto nel sistema e sta minando alla base il lavoro di equipe multidisciplinare e multiprofessionale che è un elemento fondamentale del lavoro in emergenza-urgenza. Intendere il lavoro in pronto soccorso come la pura somma di prestazioni d’opera annienta la nostra professione – considera Zecca -. Valutare solo il numero di pazienti trattati, senza tener conto della qualità e dell’adeguatezza delle cure offerte, mina profondamente il significato e l’integrità del nostro ruolo. Essere passati dall’essere medici d’urgenza a diventare ‘medici di fretta’, trattati come lavoratori a cottimo incaricati solo di smaltire la fila, distrugge il senso della nostra professione – prosegue -. Introdurre figure che scelgono liberamente quando lavorare, con compensi orari elevati, senza alcun coinvolgimento nel lavoro di squadra, e affiancarle a dipendenti pubblici a cui vengono negati anche i diritti fondamentali come ferie e riposi, annienta ulteriormente la dignità e il valore della nostra professione”.
Di quali cure avete bisogno?
“La diagnosi è chiara. Noi lavoratori e lavoratrici del settore sappiamo qual è la terapia: servono urgenti politiche occupazionali che rimettano al centro le persone, garantendo condizioni di lavoro dignitose, le competenze, la valorizzazione economica e professionale. Questo richiede il coraggio di immaginare nuovi modelli sanitari, in grado di riavvicinare i cittadini e i professionisti, ristabilendo quel patto sociale su cui si fonda il nostro Servizio sanitario nazionale. Ma anche il coraggio da parte di tutte e tutti noi professionisti, con un coinvolgimento attivo, la volontà di mobilitarsi e di mettersi in gioco. Lo sciopero del 29 novembre è un’occasione in più per rivendicare un cambio di rotta”.