
Due assemblee a Bosisio Parini, oltre duecento lavoratrici e lavoratori complessivamente, in presenza e da remoto. La Fp Cgil con Catello Tramparulo e Teresa Elmo rilancia: nessuna resa, nessuna disparità.
17 giu. 2025 – La proposta presentata dall’Associazione La Nostra Famiglia al tavolo nazionale ha superato ogni pazienza. Dopo cinque anni di attese, ricorsi, sentenze, incontri, la trattativa si è chiusa, nell’ultimo confronto del 12 giugno scorso, con una formula antica: o vi accontentate oppure niente.
L’Associazione, che eroga servizi di riabilitazione ad alta intensità a persone con disabilità, specie dell’età evolutiva, collegata anche alla ricerca scientifica, opera in sei regioni italiane (solo in Lombardia ha 12 sedi) con oltre 2300 dipendenti.
Tutto parte nel 2020, alla vigilia del rinnovo del contratto della sanità privata. L’Associazione decide unilateralmente di cambiare contratto di riferimento, che diventa Aris Rsa/Cdr: più ore settimanali, meno tutele, meno salario. Un taglio netto, senza confronto. Da lì, parte una lunga vertenza sostenuta dalle categorie di Cgil, Cisl e Uil, arrivata fino in Cassazione, dove le lavoratrici e i lavoratori hanno vinto: le sentenze hanno stabilito il diritto al contratto della sanità privata e a un risarcimento economico.
Ieri, nella sede lecchese dell’Associazione, a Bosisio Parini, si sono tenute, su due turni, due assemblee sindacali unitarie per dire i fatti con chiarezza. Circa settanta persone alla prima, con altrettante collegate da remoto. Stesso tandem alla seconda, con una cinquantina di persone. Una partecipazione larga, compatta, determinata. Dove, tra gli altri, sono intervenuti Teresa Elmo, segretaria generale della Fp Cgil Lecco, e Catello Tramparulo, segretario regionale Fp Cgil Lombardia, che abbiamo consultato per questa intervista.
Qual è il nocciolo della questione?
“La proposta dell’Associazione è una trappola col fiocco: vuole applicare il contratto della sanità privata Aris-Aiop solo a chi è stato assunto prima del febbraio 2020. Chi è entrato dopo resta fuori. È inaccettabile. Come se il diritto al contratto legittimo fosse una lotteria anagrafica. Si continua a ragionare per esclusioni. La loro delegazione trattante è cambiata ma la musica è sempre la stessa, le stesse stecche”, risponde Tramparulo.
E sul piano economico?
“Si gioca al ribasso. Offrono 4.000 euro lordi in quattro anni, dal 2026, come una tantum. Cifre che non coprono nemmeno la metà di quanto realmente dovuto secondo le sentenze. E l’ultima tranche arriverebbe addirittura nel 2029. Intanto, per chi ha subito il cambio contrattuale, le due ore settimanali in più svolte dal 2020 verrebbero riconosciute solo al 70% e solo a fine rapporto. Il restante 30% andrebbe perso. Come se il tempo dedicato al lavoro fosse carta straccia”.
C’è anche un nodo legale, quello della condizione sulle conciliazioni.
“Sì, pretendono che l’accordo valga solo se l’87% del personale ancora in servizio e il 20% di chi se n’è già andato firma una conciliazione individuale. Cosa significa? Che ogni singola persona dovrebbe rinunciare formalmente a qualsiasi rivendicazione, mettere la parola fine anche su quello che non è stato ancora riconosciuto. Se queste percentuali non vengono raggiunte, l’accordo salta per tutti. È una forzatura giuridica: si mette sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori la responsabilità di salvare o far fallire l’intesa. È anche un ricatto morale: ti mettono di fronte al bivio ‘firma o perdi tutto’. Così si prova a rompere l’unità e si crea un clima di pesante pressione individuale”.
Cosa è emerso dalle assemblee?
“La consapevolezza. La lucidità di chi non vuole più farsi dividere. Le persone erano presenti, attente, combattive. In tanti, anche da remoto. Questo dice molto. Abbiamo spiegato i contenuti della proposta, punto per punto. E abbiamo detto con chiarezza che questa nostra vertenza prosegue”.
Come?
“Andiamo avanti con le assemblee, con le iniziative territoriali, con i percorsi giudiziari dove servirà. Già oggi ci è stato conferito mandato a riprendere con celerità i ricorsi presso i tribunali competenti. Ma soprattutto, con la forza delle lavoratrici e dei lavoratori. Trattamenti diversi per uno stesso lavoro sono intollerabili. Chi lavora insieme merita lo stesso contratto. Lo stesso riconoscimento. Lo stesso rispetto. Quindi rilanciamo la mobilitazione. La palla torna ai territori e vogliamo segnare”.