
Elmo (Fp Cgil): “Giustizia fatta, questa sentenza restituisce dignità a chi lavora”
8 lug. 2025 – Il Tribunale ha dato ragione alla vertenza sostenuta dalla Fp Cgil. L’Asst Lecco è stata condannata per aver imposto a un infermiere di sala operatoria turni di pronta disponibilità oltre i limiti fissati dal contratto collettivo nazionale della sanità pubblica 2019–2021. Non un caso isolato, ma un meccanismo reiterato, durato anni. E il giudice lo ha riconosciuto per quello che è: una violazione contrattuale, da risarcire.
La sentenza, pronunciata il 7 luglio, impone all’Azienda socio sanitaria territoriale il pagamento di un’indennità oraria pari al doppio di quella prevista contrattualmente (1,80 euro lorde) per ogni turno svolto oltre il settimo al mese, a partire da gennaio 2023. È stato inoltre riconosciuto il diritto all’indennità di vestizione e svestizione, per ogni giornata lavorativa effettuata dal 1° novembre 2022 al 16 gennaio 2025.
La condanna prevede anche il rimborso delle spese legali sostenute dal lavoratore: 1.800 euro per compensi professionali, 49 euro di spese anticipate, più il 15% forfettario, Iva e Cassa previdenza avvocati. Una sentenza che riconosce la fondatezza della vertenza, e inchioda l’azienda alle sue responsabilità.
L’articolo 44 del contratto nazionale Sanità pubblica 2019–2021 stabilisce che la pronta disponibilità è un servizio di reperibilità, con turni di norma di 12 ore, da limitare ai notturni e festivi. E pone un limite preciso: massimo sette turni mensili per dipendente.
“Questo tetto è stato costantemente superato. Tredici turni in un mese, anche durante le festività. La reperibilità non va usata come tappabuchi a oltranza – commenta Teresa Elmo, segretaria generale della Fp Cgil di Lecco –. Questa sentenza dice che abbiamo ragione. La pronta disponibilità non può essere considerata come un obbligo permanente, è un istituto contrattuale, con regole precise”.
Il Tribunale ha accertato anche che all’infermiere non è stata riconosciuta l’indennità di vestizione prevista dall’articolo 43, comma 11 del contratto. La norma stabilisce che, quando la divisa è obbligatoria per motivi igienico-sanitari e viene indossata all’interno della sede, il tempo dedicato alla vestizione rientra nell’orario di lavoro. “La vestizione è parte del turno, non un’anticamera gratuita. Ogni giorno, sette minuti di lavoro non riconosciuti, significano una sottrazione sistematica, fatta passare per normalità. Ed è un’ingiustizia che è stata riconosciuta”, rimarca Elmo.
La vertenza individuale ha scoperchiato un’organizzazione che pesa collettivamente: turni straordinari imposti come routine, decine di migliaia di giornate di ferie accantonate, posti letto ridotti per l’insufficienza di personale nel periodo estivo.
“A fine 2024, in Asst Lecco sono state accantonate oltre 54.000 giornate di ferie maturate e non fruite dalle lavoratrici e dai lavoratori, con una media di 21 giorni a testa (circa 15 per i profili amministrativi, fino a circa 28 giorni di ferie arretrate per i profili sanitari). A questo si aggiungono oltre 170.000 ore accantonate. Il segno evidente di un sistema che si regge sul sacrificio, non sulla programmazione”, ricorda Elmo.
La Fp Cgil Lecco lo aveva denunciato già l’anno scorso, parlando di un punto di non ritorno. Ora il giudice lo certifica: quel punto è stato superato.
“Questa è una vittoria che vale da monito – afferma Elmo –. Un’organizzazione sbagliata non danneggia solo chi è più esposto, danneggia l’intero sistema. Spezza i reparti, esaspera le relazioni, logora la tenuta stessa dei servizi. Ma noi non ci accontentiamo di farci giustizia in tribunale. Servono assunzioni vere, turni sostenibili, un’organizzazione che rispetti i contratti e le persone. Perché chi cura, deve essere messo in condizione di farlo. Con dignità, tutele, diritti. Questo risultato – aggiunge la segretaria generale – è stato possibile anche perché il ccnl 2019–2021 poneva un limite chiaro e inderogabile ai turni di pronta disponibilità. Con l’ultimo rinnovo, che la Fp Cgil non ha firmato, quel limite è stato reso più incerto, lasciando spazio a deroghe e margini interpretativi che rischiano di normalizzare l’abuso. È un passo indietro per i diritti. Ragion per cui la nostra lotta dovrà continuare: nei luoghi di lavoro, per impedire che l’emergenza diventi regola; nella contrattazione, per ripristinare limiti certi e tutele vere; nelle piazze e nei tribunali, ogni volta che sarà necessario”.