
Silvia Papini (Fp Cgil): “730 detenuti per 411 posti. Crescono i numeri, cresce la sofferenza. È una questione di diritti, non solo di organici”
14 lug. 2025 – “Circa 730 persone detenute a fronte di una capienza di 411 posti. A giugno si è toccata quota 750. Al carcere di Monza il sovraffollamento è del 77,6%, significa che ci sono quasi 8 persone ogni 4 posti disponibili. Una situazione dura da sostenere”. A denunciarlo è Silvia Papini, segretaria della Fp Cgil Monza Brianza.
Il dato locale si inserisce nel quadro nazionale già segnalato dalla Cgil di Corso Italia, con la segretaria Daniela Barbaresi che parla di “un sovraffollamento medio del 135%” e di “una popolazione di 62.728 detenuti da record storico”.
Gli spazi sono ridotti e strapieni, il caldo è insopportabile, il drammatico aumento dei suicidi – 39 tra le persone ristrette e 2 tra gli agenti penitenziari dall’inizio dell’anno – rende le condizioni negli istituti penitenziari estremamente pesanti, anche per la salute, fisica e mentale. Dentro e fuori le sbarre.
“A Monza – racconta Papini – , la stessa direttrice ha manifestato in Consiglio comunale le difficoltà del carcere con il crescere del numero di detenuti. Il personale è sotto pressione. Circa 500 persone ristrette hanno problemi di tossicodipendenza, su 733. Le persone straniere sono 347. A tutto questo si sommano episodi tensivi sempre più frequenti: 359 interventi disciplinari in sei mesi, 10 aggressioni, 29 oltraggi e violenze verbali, 71 colluttazioni, un incendio”, segnala la sindacalista.
Il problema strutturale è l’assenza di un meccanismo che adegui l’organico all’aumento delle presenze. “Sulla carta ci sono 296 unità, ma in servizio effettivo sono 278. Turni, sicurezza, relazioni, tutto è sotto stress. L’organico comprende funzionari pedagogici, personale contabile, personale sanitario e Polizia Penitenziaria, per citarne alcune: tutte figure essenziali per garantire i diritti. Ma oggi – denuncia Papini – non si riesce a garantirli”.
Il personale pedagogico deve seguire decine di persone detenute e, al tempo stesso, elaborare i progetti, occuparsi delle relazioni per i tribunali. “Così non ci sono le condizioni per seguire adeguatamente tutti i detenuti e si è costretti ad agire, anche rispetto all’intervento riabilitativo, in costante emergenza. Un’emergenza – rimarca Papini – di cui hanno piena consapevolezza personale e detenuti. Il rischio burnout, per chi lavora, è concreto e il rischio di peggioramento della salute mentale di chi è detenuto idem”.
Il sistema carcerario è ormai un luogo perduto?
“Non può né deve esserlo, anche se la deriva è sempre più preoccupante. Le lavoratrici e i lavoratori sono consapevoli di non poter fare di più, ma sanno anche di avere in mano la vita delle persone, in questo luogo di sofferenza e al collasso. A Monza gli interpelli restano spesso senza candidati. La sua reputazione di struttura sovraffollata e la posizione periferica ne scoraggiano l’arrivo. Ma anche chi vince gli interpelli per spostarsi in altre sedi viene bloccato dalla direzione, che non può permettersi un’ulteriore riduzione di personale. Va rafforzata la battaglia di civiltà a salvaguardia della dignità umana e dei diritti delle persone che vivono e lavorano nelle carceri – evidenzia Papini -. Va recuperata e resa concretamente esigibile la funzione sociale del carcere, nella missione assegnatagli dalla nostra Costituzione – evidenzia Papini -. E, allo stesso tempo, anche come luogo di lavoro, il carcere deve rivendicare e ottenere la sua dignità. Cosa altro deve succedere perchè le istituzioni decidano di farsi carico del problema?”.