1 Aug 2025
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“Fuori legge” o del sistema penitenziario al collasso

ufficio dap

Intervista a Andrea De Santo, coordinatore Fp Cgil Lombardia DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria)

31 lug. 2025 – Le carceri italiane sono stracolme. I dati di giugno segnalano il record di 62.728 persone detenute, con un sovraffollamento medio del 135%.

Gli spazi sono ridotti e roventi (un po’ di sollievo, agli istituti penali milanesi, è arrivato dall’iniziativa civile ‘Aria d’Umanità’ che ha donato mille ventilatori). I suicidi aumentano: da inizio anno sono già 39 quelli fra detenuti e 2 fra il personale della Polizia Penitenziaria. I diritti si assottigliano, e le lavoratrici e lavoratori del sistema penitenziario sono sfiniti.

E mentre il governo risponde con container e nuove celle, la realtà parla chiaro: serve un cambiamento vero.

In Lombardia, la situazione è ancora più estrema. Nei 18 istituti penitenziari regionali, al 30 giugno 2025 si registrano 8.992 persone recluse, a fronte di 6.148 posti regolamentari: un sovraffollamento del 146% che va oltre il 200% a San Vittore e Brescia. Oltre 4.100 sono le persone straniere, 447 le donne detenute.

Dal punto di vista di chi rappresenta il personale civile che opera ogni giorno dentro gli istituti – educatori, pedagogisti, amministrativi – Andrea De Santo, coordinatore Fp Cgil Lombardia per il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, descrive con lucidità e realismo le crepe del sistema penale. E indica le leve da cui partire per rimettere al centro diritti, dignità, lavoro.

Qual è oggi la situazione nelle carceri lombarde?

Sovraffollamento, strutture, carenze di personale.

“In Lombardia la situazione è molto simile a quella del resto di Italia. Un numero sempre crescente di nuovi ingressi, un valzer di trasferimenti e di sfollamenti tra un istituto e un altro.
Chi lavora in carcere è abituato all’attenzione mediatica estiva. E purtroppo siamo abituati, soprattutto negli ultimi anni, anche alle dichiarazioni, puntualmente a luglio, di risolutivi piani carcere. Da quello che è dato sapere dalle dichiarazioni del Ministro, nessuna vera soluzione è all’orizzonte: i diecimila che potrebbero andare in misura alternativa, rimarranno in carcere per molti motivi, dalla mancanza di risorse sul territorio (case, lavoro, strutture sanitarie e via dicendo) oltre alle valutazioni sulla effettiva possibilità di reinserimento sociale. Tornando al sovraffollamento: la sensazione è che non si tratti di un flusso estemporaneo, ma strutturale. I prossimi mesi potrebbero segnare numeri ancora più drammatici”.

Come sta il personale civile, a partire dalle figure educative e pedagogiche?

Ruolo, difficoltà quotidiane, presenza reale negli istituti. Condizioni di lavoro, carichi, riconoscimento, motivazione.

“Gli educatori hanno la pianta organica completa. Si sta procedendo inoltre con le assunzioni dei contabili. La situazione parrebbe rosea, ma tutto è solo sulla carta. Innanzitutto le piante organiche sono definite su numeri di detenuti e dei loro bisogni che non hanno collegamento con la realtà. In secondo luogo perché chi può, scappa verso le sedi centrali – DAP e PRAP – della amministrazione penitenziaria, i contabili verso gli stipendi più ricchi di Inps e agenzie, gli altri verso le amministrazioni locali e altri ministeri dove il lavoro è meno stressante, magari vicino casa. Infatti anche il tema casa diventa un fattore: chi lavora nelle grandi città paga lo scotto di affitti e costi stratosferici. Molti neoassunti rinunciano a trasferirsi, e quindi al lavoro, a causa degli stipendi inadeguati. Ciliegina sulla torta: i numerosi trasferimenti verso le amministrazioni centrali, che svuotano gli istituti penitenziari”.

Che conseguenze hanno le carenze di organici?

Sulle persone detenute, sul lavoro rieducativo, sulla qualità del sistema.

“Le lavoratrici e i  lavoratori resistono, tra numeri ingestibili e situazioni umane drammatiche, spesso inimmaginabili (basti pensare ai molteplici atti di autolesionismo). Ma se penso alla principale delle carenze, penso alle difficoltà della sanità in carcere. Troppo debole e disorganizzata la medicina generale, quasi in via di estinzione la psichiatria, sovraccaricata di responsabilità legata al rischio suicidario la psicologia, sottodimensionati i SerD, i servizi per le dipendenze.

Chi sono oggi le persone detenute in Lombardia?

Salute mentale, tossicodipendenze, provenienza, donne, giovani.

“Aumentano i tossicodipendenti, aumentano gli under 25, anche come conseguenza del Decreto Caivano che amplia la carcerazione per gli autori minorenni e rende più facile per i giovani tra i 18 e i 25 anni essere trasferiti nelle carceri per adulti. Emarginati, sbandati, persone con problematiche di salute mentale senza cure, immigrati irregolari, vanno a completare il quadro del disagio in carcere. Poi ci sono i delinquenti, cioè quelli che scelgono di non cambiare, pur avendone la possibilità. Per molti di loro il carcere è una condizione normale, ci sanno stare, e molto spesso in carcere ripropongono i comportamenti delinquenziali dell’esterno”.

Su cosa si concentra oggi l’azione della Fp Cgil?

Assunzioni, tutele, valorizzazione, rispetto della funzione pubblica.

“La Cgil in questa fase resiste. Sui luoghi di lavoro, cercando di interagire con un’amministrazione distante dai problemi reali e da lavoratori e lavoratrici.
Resiste sul piano della contrattazione nazionale, perseguendo l’obiettivo del contratto integrativo, che solo il Ministero della Giustizia, unico tra le Funzioni Centrali, ancora non ha sottoscritto.
Difficile però andare avanti, perché oltre al pesantissimo, quantitativamente e qualitativamente, carico di lavoro, si aggiunge – considera De Santo – la frustrazione quotidiana dei dettagli: insufficienza dei fondi per pagare gli straordinari (che in queste condizioni sono molto… ordinari…), i ridicoli riconoscimenti economici della contrattazione integrativa, le missioni gratuite in altre sedi con i lavoratori costretti ad anticipare costi di viaggio e attendere tempi indefiniti per il rimborso”.

Cosa serve per cambiare davvero?

Proposte chiare per migliorare il carcere e chi ci lavora.

“Innanzitutto, ripensare il carcere, che non può essere la principale risposta alla devianza. Gli Uepe, che si occupano di esecuzione penale all’esterno, sono in crisi da oltre un decennio: consolidare realmente l’esecuzione esterna è un passaggio strategico ineludibile. Ripensare l’amministrazione penitenziaria, riducendo la distanza tra centro e periferia, e superando il sistema organizzativo verticistico e piramidale che caratterizza il carcere. Investire sia dal punto di vista della valorizzazione economica che dell’entità complessiva del personale, in tutte le figure professionali che entrano nel sistema carcerario. Investire nella sanità in carcere. Riconoscere le peculiarità professionali di chi lavora in carcere, senza avere paura di confrontarsi con la sua realtà complessa, e questo vale anche per il sindacato”, chiude De Santo.