Per Filippi (segretario nazionale) è “un contratto definanziato”; Zecca (segretario lombardo) avverte: “Così la fuga dal pubblico continua”
21 nov. 2025 – “Siamo amareggiati e indignati per i 137.370 professionisti dell’Area Sanità che si sia deciso di interrompere precocemente, in solo 3 sedute, la trattativa per il rinnovo del CCNL 2022-24”. Così Andrea Filippi, segretario nazionale Fp Cgil Medici e Dirigenti del SSN, dopo la frattura che si è consumata all’Aran: molte organizzazioni sindacali (tra cui Cisl e Uil) hanno firmato, il 18 novembre, la preintesa per il contratto 2022-2024. La Cgil no.
Il sindacato del quadrato rosso smonta punto per punto il cuore dell’accordo. L’aumento tabellare di 230 euro lordi mensili dal 1° gennaio 2024 porta il nuovo tabellare annuo a 50.005,77 euro, ma non recupera il potere d’acquisto bruciato. Filippi parla di “risorse contrattuali che impoveriscono le buste paga di ben 10 punti percentuali, con una perdita di 537 euro lordi medi mensili rispetto all’inflazione”.
Gli incrementi dei fondi aziendali favoriscono le posizioni apicali, mentre giovani e neoassunti restano schiacciati, così come la maggior parte dei dirigenti con molti anni di servizio ma con incarichi “poveri”.
L’indennità di specificità è aggiornata ma applicata dal 2025, con effetti ritardati. Nessun passo avanti sull’indennità di esclusività per le dirigenti e i dirigenti delle professioni sanitarie.
Per la Fp Cgil, la corsa a chiudere la preintesa in tre sedute, mentre la legge di bilancio è ancora in discussione, non è un percorso negoziale: è la scelta di blindare un accordo già scritto, senza utilizzare gli spazi parlamentari per ottenere le risorse necessarie e senza aprire un confronto vero sui nodi che stanno facendo crollare l’attrattività del Servizio sanitario nazionale.
La valutazione lombarda arriva dal segretario regionale Fp Cgil Medici, Bruno Zecca. La sua è una lettura che tiene insieme conti e quotidiano: “Questo contratto non aiuta a trattenere le professionalità. In Lombardia turni scoperti e reparti in affanno sono la norma. Ogni medico e dirigente che se ne va è un rischio per la tenuta del servizio, mentre le liste d’attesa che si allungano. Senza un recupero salariale vero e senza investimenti sull’organizzazione, e quindi il benessere organizzativo, la fuga dal pubblico – ahinoi – continuerà”.
La preintesa, ribadisce Zecca, non è solo un passaggio tecnico: “Si riflette direttamente sulla qualità delle cure e sulla tenuta del Servizio sanitario nazionale. Se il pubblico non diventa attrattivo, il sistema perde pezzi e i cittadini e le cittadine pagano due volte: con le tasse e con l’attesa. Per questo la nostra scelta è di campo. E di responsabilità”.
Poi il segretario regionale passa allo sciopero della Cgil del prossimo 12 dicembre. “Saremo allo sciopero generale perché questo contratto è il simbolo di una deriva più ampia: salari che perdono valore, servizi che si svuotano, professioniste e professionisti che non riescono più a reggere. Scioperiamo per dire che la sanità pubblica non può vivere di ringraziamenti: ha bisogno di risorse vere, di rispetto e di scelte politiche che mettano al centro chi cura ogni giorno le persone del nostro Paese”.