Negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e negli Istituti zooprofilattici sperimentali i diritti restano sulla carta. Dopo l’assemblea nazionale on line Fp Cgil del 4 dicembre, il coordinatore nazionale e regionale Alberto Evangelista fa il punto.
19 dic. 2025 – L’aumento netto che molte ricercatrici e ricercatori hanno trovato in busta paga dopo il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro della Sanità pubblica è stato di 25 o, a volte, 40 euro. Nel frattempo: assunzioni col contagocce, incarichi che restano promesse, stabilizzazioni che arrivano all’ultimo minuto. Nella ricerca sanitaria pubblica il contratto c’è, ma l’applicazione arranca.
Dopo l’assemblea nazionale online della Funzione Pubblica Cgil del 4 dicembre, abbiamo chiesto ad Alberto Evangelista, coordinatore nazionale e regionale Fp Cgil per gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) e per gli Istituti zooprofilattici sperimentali (Izs), di fare una sintesi della situazione.
Qual è oggi la criticità maggiore nell’applicazione del nuovo contratto nella ricerca sanitaria?
“Il problema non è solo l’imperizia, è l’atteggiamento. Colpisce la scarsa volontà delle amministrazioni. Succede a Milano, ma temo sia un tratto nazionale. Siamo costretti a richiedere continuamente di venire convocati e, nei rari casi, in un primo tavolo avanziamo una proposta, un altro serve per spiegare dove trovare le risorse e un terzo per sollecitare la stabilizzazione e così via. Spesso però le convocazioni neppure arrivano. A parole la ricerca sanitaria è una priorità strategica, nei fatti viene trattata come un fastidio amministrativo”.
Gli strumenti di valorizzazione, come i Differenziali Economici di Professionalità, restano fermi. Perché?
“I Differenziali Economici di Professionalità, i cosiddetti DEP, e gli incarichi sono bloccati perché applicarli, soprattutto nel caso degli incarichi, significa entrare nell’organizzazione del lavoro. È una cosa che molte aziende evitano. Solo in pochissimi Istituti in Italia si è arrivati a definire i criteri per bandire gli incarichi per ricercatori e collaboratori di ricerca, i due profili professionali definiti nel CCNL Ricerca Sanitaria. Inoltre la definizione delle risorse da utilizzare è spesso interpretata al ribasso dalle Amministrazioni, rispetto alla normativa e al contratto”.
Sul piano economico avete definito gli aumenti ridicoli. È un’esagerazione?
“No, è una constatazione. Gli aumenti previsti dal contratto nazionale coprono circa un terzo dell’inflazione del periodo, che viaggiava intorno al 20%. Molti ricercatori e ricercatrici con inquadramenti medio-alti hanno visto aumenti netti di 25-30 euro. Al Policlinico di Milano l’Elemento Perequativo non è ancora stato erogato, mentre in tutti gli altri enti sì. E intanto le Regioni non coprono la quota relativa agli aumenti contrattuali a partire dal 2020, così come la stessa Corte dei Conti ha deliberato, costringendo gli istituti a usare impropriamente i fondi della ricerca”.
Questo ha effetti anche sulla tenuta della ricerca pubblica?
“Sì, ed è un punto decisivo. La mancata valorizzazione economica e professionale spinge molte persone a lasciare la ricerca sanitaria pubblica per strade più remunerative. In alcuni istituti potremmo assistere all’abbandono di intere linee di ricerca. Non è solo un problema per chi ci lavora, è un danno diretto alla qualità e al futuro della ricerca pubblica”.
Capitolo stabilizzazioni del personale precario: la legge prevede l’assunzione entro il 31 dicembre 2025. Qual è il quadro attuale?
“Siamo molto in ritardo. La norma è chiara: chi ha maturato tre anni di servizio negli ultimi otto deve essere assunto entro il 31 dicembre 2025. Eppure molti enti si muovono all’ultimo momento. In alcuni Istituti non si sono ancora definite le date di assunzione, e siamo già oltre la metà di dicembre. Una corsa contro il tempo che mette a rischio tutto il percorso. Se non si interviene, perdiamo persone che sono la garanzia stessa della ricerca pubblica”.
Per chi non potrà partecipare alle stabilizzazioni che prospettive ci sono?
“Stiamo presentando emendamenti al decreto Milleproroghe per consentire di effettuare ulteriori stabilizzazioni anche nel 2026. In ogni caso, per il futuro, il decreto di riordino degli Irccs del 2022 prevede che si possa accedere al tempo indeterminato anche prima della conclusione del percorso di 5 + 5 anni di tempo determinato. In ogni caso il riconoscimento di un lavoro stabile e giustamente retribuito per noi è fondamentale”.
La Fp Cgil non ha firmato il contratto 2022-2024 ed è spesso esclusa dai tavoli locali, nonostante una forte rappresentatività. Come rispondete?
“Siamo l’organizzazione sindacale più rappresentativa, con 41 delegati eletti in 30 istituti su 34. Se ci escludono, il sistema si blocca. E infatti si blocca. Non abbiamo firmato perché sulla sezione ricerca non c’è stata nessuna discussione e rimane valido in toto il vecchio contratto e perché gli aumenti non coprono l’inflazione. L’esclusione deve avere un prezzo e noi lo faremo pagare con le azioni vertenziali necessarie. Se rientriamo ai tavoli, facciamo un servizio anche alle amministrazioni, che da sole dimostrano di non sapersi muovere”.
Cosa sta facendo la Fp Cgil per migliorare la situazione relativa alla ricerca sanitaria?
“Abbiamo presentato alcuni emendamenti alla legge finanziaria per incrementare di 40 milioni il finanziamento della Ricerca Corrente e riportarlo al livello del 2022 e per incrementare il finanziamento relativo al personale della ricerca, definito dalla legge 205/2017 e portarlo da 90 a 120 milioni”.
Qual è la valutazione politico-sindacale complessiva sulla ricerca sanitaria pubblica oggi?
“C’è una scelta politica precisa di lasciare la ricerca ai margini, fatta di rinvii e sottofinanziamento. Il nostro compito è rendere visibile questo corto circuito e costruire forza per cambiarlo. Senza finanziamenti certi e diritti esigibili, la ricerca pubblica resta una parola buona per i convegni. Noi, invece, stiamo dalla parte di chi lavora ogni giorno nella ricerca clinica, preclinica, di base e nella prevenzione e tiene in piedi un pezzo essenziale del Servizio Sanitario Nazionale”.