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Dal convegno Fp Cgil Lombardia e Rete “Mai Più Lager – No ai CPR” un appello a medici e personale sanitario a non collaborare con un sistema che viola i diritti fondamentali e la dignità umana
13 feb. 2025 – La questione è nelle nostre città, davanti agli occhi che la vogliono guardare, in tutta la sua drammatica complessità: la detenzione amministrativa e i CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio) sono una ferita purulenta nel corpo della democrazia.
La detenzione nei CPR colpisce chi è senza permesso di soggiorno, una misura di “razzismo istituzionale” che priva della libertà senza reato. Fino a 18 mesi rinchiusi in attesa di espulsione, con procedure sommarie e tutele legali minime. Solo una piccola parte viene rimpatriata, trasformando i CPR in “capri espiatori sociali”.
Dove sono questi centri? A Milano, Torino (in riapertura), Gradisca d’Isonzo (GO), Roma Ponte Galeria, Macomer (Sardegna), Palazzo San Gervasio (PZ), Bari Palese, Brindisi Restinco, Caltanissetta Pian del Lago (Sicilia) e Trapani Milo (Sicilia).
Del tema si è parlato lunedì 10 febbraio all’incontro pubblico che la Fp Cgil Lombardia ha organizzato con la Rete “Mai Più Lager – No ai CPR” alla Camera del Lavoro di Milano.
Grazie agli interventi di Teresa Florio, attivista, e del dottor Nicola Cocco, infettivologo penitenziario della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, entrambi componenti di questa Rete, è stato spiegato come dal “razzismo sistemico della nostra società” si arrivi a un sistema che “sfocia nella deumanizzazione”.
La radice normativa del problema affonda nel lontano 1998 con la legge Turco-Napolitano, madre dei Centri di permanenza temporanea, poi CIE (Centri di identificazione ed espulsione), poi CPR. Da allora, la “privazione della libertà è il modello”, un’aberrazione che si è estesa ben oltre i CPR, contaminando hotspot, navi quarantena, aree extraterritoriali e persino “locali idonei” come le questure.
Il punto: non solo il CPR ma la detenzione amministrativa in sé è un meccanismo perverso che criminalizza la povertà e l’irregolarità. E mentre l’Europa erige sempre più fortezze, l’allargamento delle criticità si concretizza con l’esternalizzazione delle frontiere, nuove forme di detenzione e controllo sempre più lontane dagli occhi dell’opinione pubblica.
A tutto ciò si aggiunge la gestione privatizzata dei CPR, con appalti al ribasso che incentivano il taglio dei servizi e il maltrattamento delle persone detenute. Come spiegato da Florio, “Il gestore ha tutta la convenienza a che le persone siano più a lungo possibile all’interno del centro perché guadagnerà per ogni giorno che si trova in più”. Dai 40 ai 45 euro (a seconda del bando) pro-capite.
In questo inferno, il ruolo del personale sanitario è cruciale e, spesso, tragicamente ambiguo. Medici, infermieri e psicologi, chiamati a curare e tutelare, si ritrovano a operare in “luoghi patogeni e psicopatogeni, luoghi non redimibili”, dove la violenza (auto diretta, con l’autolesionismo, ed etero diretta) è la norma e la negazione dei diritti è prassi quotidiana. E così, la mancanza di tutele e diritti fondamentali contribuisce a creare un ambiente non solo che fa ammalare ma in cui il suicidio può diventare l’unica via d’uscita.
A qualunque medico del Servizio Sanitario Nazionale, ad esempio durante un turno di pronto soccorso, possono essere richeste le valutazioni di idoneità all’ingresso nei CPR, visite che si riducono a mere formalità, spesso condotte in fretta e furia e sotto la pressione delle Forze dell’Ordine: Esercito, Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia, con un rapporto di un agente per ogni persona trattenuta, sono una presenza massiccia in questi centri. Una presenza che contribuisce a un clima di forte controllo e discrezionalità. E che può sfociare in violenza normalizzata che nega dignità e diritti umani.
Un’altra piaga è l’abuso di psicofarmaci, usati come strumento di controllo e sedazione. Anche a fronte di “zero diagnosi”. Una pratica che trasforma i sanitari in complici di un sistema appunto disumano, che nega il cuore della professionalità medica. Oltre ad andare, di fatto, a una deriva manicomiale.
Perché l’accettiamo? Perché abbiamo normalizzato la violenza verso i migranti, perché non le consideriamo “persone alla pari”. I CPR sono “tombini attraverso cui viene fuori il razzismo sistemico della nostra società”, un razzismo che è diventato “istituzionale, istituzionalizzato”, ribadisce Cocco.
La Rete “Mai Più Lager – No ai CPR” lancia allora l’appello affinché a tutte le persone migranti venga data la non idoneità proprio per i rischi per la salute (fisica e mentale) e per la vita che la detenzione amministrativa causa loro. Un appello rivolto all’Ordine dei Medici, affinché prenda posizione contro questo sistema inumano e protegga i professionisti che si rifiutano di esserne complici.
Di fronte a questa vergogna cui porre fine, cosa possono fare i medici e le operatrici e operatori della sanità? Bruno Zecca, segretario della Funzione Pubblica Cgil Medici Lombardia, ritiene “fondamentale tutelare la professionalità di chi opera in ambito sanitario” perché “sia sempre aderente a quelli che sono i principi della Costituzione, dell’autonomia e dell’etica professionale”.
Spiega sempre Zecca: “Purtroppo non abbiamo dati ufficiali, però da una stima verosimile circa il 90 % delle idoneità all’ingresso nei CPR viene rilasciata nei pronto soccorso lombardi. Questo perché la norma parla di ‘idoneità h 24’. Sono convinto, da medico di PS – aggiunge -, che la stragrande maggioranza delle colleghe e dei colleghi siano ignari del reale significato che quel verbale di pronto soccorso produce. Quanto, probabilmente, viene interpretato come una generica visita volta ad escludere le principali malattie infettive che impediscano la vita di comunità, si trasforma in un sicuro grave danno alla salute della persona, contrario al principio del ‘primum non nocere’, l’unico a cui qualsiasi medico debba attenersi”.
Quindi?
“Da ciò la necessità che avvertiamo, come sindacato, come Fp Cgil, di informare per rendere tutti i colleghi e le colleghe consapevoli delle proprie scelte ma, soprattutto, di tutelare la libertà di scelta ‘in scienza e coscienza’ dei professionisti, in un modello che sempre di più ci vorrebbe come semplici esecutori. Su questi aspetti il sindacato fa la sua parte ma anche l’Ordine dei Medici deve fare la sua – rimarca -. Il faro che abbiamo acceso questa sera è sul concetto di salute pubblica inteso come un’area che non può avere dei buchi, delle zone scure. Cioè la salute pubblica deve essere un ombrello che tutela chiunque nello stesso modo”.
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