“Non c’è un luogo dove il diritto alla salute può essere negato”. La denuncia di Bruno Zecca contro il coinvolgimento dei sanitari nella macchina della detenzione amministrativa
21 nov. 2025 – Marco Cavallo, il cavallo azzurro simbolo della liberazione dagli ospedali psichiatrici, dallo scorso settembre ha fatto un giro davanti a numerosi Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) italiani. Il convegno “Salute e detenzione amministrativa: quali prospettive dopo il viaggio di Marco Cavallo?”, organizzato dalla Rete “Mai Più Lager – No ai CPR” e ospitato dalla Camera del Lavoro di Milano (è una seconda tappa, dopo l’iniziativa dello scorso febbraio) mercoledì 19 novembre, ha messo in fila il cuore del problema: la deriva manicomiale dei Cpr, il razzismo istituzionale che li alimenta, la patogenicità strutturale di luoghi che non curano ma producono sofferenza.
Sullo sfondo, le ultime sentenze del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, che rischiano di trasformare un’emergenza democratica in normalità amministrativa.
Il dibattito si è mosso lungo un assunto: i Cpr non sono correggibili perché la loro funzione è la negazione stessa dei diritti. E la loro esistenza ripropone, in forma aggiornata, gli stessi dispositivi di segregazione che la riforma basagliana aveva demolito.
È stato ricordato come i Cpr producano patologie che prima non esistevano: sofferenza psichica, regressione, autolesionismo, perdita del contatto con la realtà. A questo si aggiunge la pratica dell’abbandono sanitario, con casi concreti di persone rilasciate senza alcun sostegno, devastate nel corpo e nella psiche dalla detenzione amministrativa. La diagnosi condivisa in sala è stata netta: i Cpr sono istituzioni totali che trasformano la vulnerabilità in colpa.
Molti interventi hanno toccato un nodo politico decisivo: la detenzione amministrativa non è un incidente burocratico, ma un dispositivo di controllo sociale e razzializzazione, sostenuto da norme che aggirano la tutela della salute e i diritti fondamentali della persona. Il rischio è che l’apparente attenzione delle istituzioni sulla salute nei Cpr produca una normalizzazione. E l’eredità di Marco Cavallo chiama oggi a un salto ulteriore: non limitarsi a denunciare i luoghi della reclusione, ma contestare la logica della frontiera che li genera.
In sala c’erano voci diverse – Romano Madera, filosofo; Lorenzo Giroffi, giornalista e autore di un documentario sui Cpr; per la Rete No Cpr Nicola Cocco, medico infettivologo; Camilla Ponti, psicologa; Luca Ceraolo, antropologo; Teresa Florio, operatrice legale, Bruno Zecca, segretario Fp Cgil Medici Lombardia, Ivan Lembo, della Cgil Milano, che ha fatto i saluti introduttivi – tutte a indicare la stessa faglia: cosa resta dell’eredità basagliana quando lo Stato ripropone, in altra forma, le istituzioni totali che sono già state chiuse?
L’intervento di Bruno Zecca ha riportato la questione sul punto più esposto: la responsabilità delle professionalità sanitarie nel non diventare ingranaggio della detenzione amministrativa.
“Credo che questo tema vada inquadrato in un tema più generale che è la salute come bene comune e strumento per proteggere le persone – ha detto il dirigente sindacale -. Non c’è un luogo dove il diritto alla salute può essere negato”.
La critica si allarga al modello lombardo che vuole rendere i professionisti “prestatori d’opera”, esecutori, non come persone che portano con sé il “loro bagaglio culturale, il loro bagaglio di deontologia medica”, cioè tutto ciò che rende la cura un atto umano, non solo tecnico.
Il meccanismo è palese: “Ci viene chiesto di portare questo bagaglio sulle nostre spalle in silenzio senza disturbare il manovratore”, considera Zecca.
Ma proprio nei Cpr, il silenzio diventa complicità: “Noi come professionisti dobbiamo avere una posizione chiara e soprattutto una consapevolezza maggiore su quello che questi luoghi rappresentano”, sostiene.
La parola chiave è obiezione, intesa come atto professionale prima che etico-politico: “Credo che come professionisti siamo chiamati a dover esprimere quelli che sono i nostri doveri, ma soprattutto quello che è il nostro diritto di scegliere in scienza e coscienza e questo è qualcosa che non si può mai piegare a direttive che arrivano dall’alto e che hanno direzioni diverse rispetto a quella che è la missione che noi come sanitari abbiamo”, ha evidenziato Zecca, esprimendo preoccupazione per l’alto rischio che colleghe e colleghi incorrano nell’errore dell’inconsapevolezza quando sono chiamati a esprimere un parere di idoneità all’ingresso delle persone nei Cpr.
“Quindi ben vengano iniziative come queste che sempre più ci devono portare a creare sinergie e a orientarci verso la categoria dei professionisti che poi sono quelli che sono chiamati a rifiutarsi categoricamente di essere utilizzati come l’anello finale di una catena che porta a queste distorsioni”, ha rimarcato in chiusura.
- La registrazione dell’iniziativa è disponibile a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=ul0hFgXsgnc