Le preoccupazioni e le aspettative delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno partecipato ai congressi di base, le proposte per riformare il welfare lombardo e riorganizzare le istituzioni locali. Questi i temi del dibattito congressuale al Centro Congressi di Darfo Boario Terme il 10 e 11 marzo 2014.
Funzione Pubblica CGIL Lombardia
X Congresso regionale – Boario, 10 – 11 marzo 2014
Relazione introduttiva di Florindo Oliverio, segretario generale
Care delegate, cari delegati, invitate e invitati, gentili ospiti,
desidero innanzitutto esprimere, a nome mio personale e dell’intera struttura regionale della Funzione Pubblica CGIL Lombardia, il ringraziamento a tutte e tutti voi per essere qui in questi due giorni di discussione, dibattito, confronto, che ci permetteranno di guardare ai quattro anni passati come di un’esperienza condivisa e a quelli futuri come gli anni di un lavoro intenso e impegnativo per contribuire all’uscita dalla crisi di quanti guardano a noi con speranza e fiducia.
Rivolgo un saluto cordiale ai nostri ospiti in rappresentanza delle istituzioni.
E un caloroso abbraccio a Rossana Dettori, segretaria generale della nostra categoria, cui sarà affidato l’intervento conclusivo nella giornata di domani, e a Nino Baseotto, segretario generale della CGIL Lombardia.
Arriviamo a questo nostro congresso regionale di categoria dopo aver svolto i congressi territoriali e prima le assemblee congressuali di base nei posti di lavoro.
Un percorso intenso di confronto non solo con le nostre iscritte e i nostri iscritti, ma con le lavoratrici e i lavoratori del mondo che rappresentiamo. Le donne e gli uomini che lavorano negli uffici di ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici, nelle amministrazioni locali e nelle aziende sanitarie locali e ospedaliere, nelle case di riposo, quelle pubbliche e quelle gestite da privati o del privato sociale, nelle aziende di igiene ambientale e nei corpi di polizia penitenziaria e forestale, i vigili del fuoco. Come abbiamo detto di recente, le persone che lavorano per altre persone.
I RISULTATI DEL CONGRESSO IN FUNZIONE PUBBLICA LOMBARDIA
Un percorso congressuale che ha visto il coinvolgimento, con il proprio voto, di circa 26mila iscritti alla CGIL della nostra categoria, dopo aver tenuto quasi 1.500 assemblee. Sono circa il cinquanta per cento dei nostri tesserati. Quasi un migliaio di iscritti votanti più di quattro anni fa, quando il congresso vedeva un confronto polarizzato intorno a due documenti alternativi che, per le adesioni registrate in partenza all’interno dei gruppi dirigenti, incentivava naturalmente un confronto più militante degli apparati.
Ma anche il contesto generale ha reso questo percorso congressuale meno facile del passato.
Abbiamo incontrato una iniziale sfiducia e a volte la rassegnazione tra i lavoratori.
La crisi e la mancanza di risultati concreti degli ultimi anni hanno segnato la discussione nei luoghi di lavoro.
Ciononostante la partecipazione alle assemblee e il voto sono stati inequivocabili. Il lavoro decide il futuro, il documento proposto a larghissima maggioranza dal direttivo nazionale confederale alla discussione congressuale, è andato oltre il 95% dei consensi superando significativamente la soglia dei 24mila voti. Confermando la condivisione dell’impostazione del Piano del Lavoro e gli obiettivi di mandato indicati dalle 11 azioni del primo documento.
Dalla rivendicazione di un’Europa che ritorni ad essere quella del modello sociale basato sulla piena occupazione e la riqualificazione di un welfare inclusivo e universale, fino all’indicazione dell’obiettivo strategico della costruzione degli Stati Uniti d’Europa, all’immediata vigilia del voto per il Parlamento europeo. Un programma di lavoro che può solo rafforzarsi alla luce degli accadimenti alle porte della nostra Unione che vedono aprirsi nuovi conflitti sociali in Ucraina e che devono richiamare tutti quanti noi ad un sentimento e ad un’azione finalizzata al pieno dispiegarsi di quella autodeterminazione dei popoli che rimane un nostro valore fondamentale.
E poi il tema delle risorse per uscire dalla crisi. Per un programma di politiche fiscali utile a ripristinare progressività nelle imposte e la riconferma del principio costituzionale secondo cui ciascuno deve contribuire al funzionamento del paese secondo solidarietà e responsabilità in ragione del proprio reddito e del proprio patrimonio. Rilanciando la proposta di un’imposta sulle grandi ricchezze costituite da patrimoni finanziari e immobiliari oltre gli 800mila, euro con un’aliquota progressiva dallo 0,5 all’1,8%, associata alla tassazione delle rendite finanziarie con l’elevazione delle imposte dal 20 al 25% per le transazioni finanziarie e dal 12,5 al 15% per i titoli di stato. Infine, le proposte per aumentare le detrazioni a favore di lavoratori e pensionati e per una effettiva ed efficace tracciabilità di tutti i redditi e ricchezze.
Sulle pensioni le assemblee, com’era prevedibile, si sono concentrate maggiormente e in maniera trasversale ai comparti che organizziamo, sia pubblici sia privati. Ne escono confermate le proposte fondamentali della CGIL. Per la riapertura di un confronto di merito con il governo e il parlamento utile a cancellare, di fatto, la riforma Fornero, affermando il diritto alla flessibilità in uscita dal lavoro attivo senza penalizzazioni, per un sistema contributivo maggiormente garantito per precari, lavoratori saltuari e stagionali, per le donne e i giovani. Per l’eliminazione delle penalizzazioni per i lavoratori precoci. Con un sistema di coefficienti utile a favorire i redditi più bassi. Per garantire maggiori coperture figurative per i periodi di cura. Per rilanciare la previdenza complementare. Ma anche per riformare la governance degli enti previdenziali, a maggior ragione dopo che anche le cronache hanno preso atto e svelato le degenerazioni che da anni noi andavamo denunciando, inascoltati, e che hanno portato alle dimissioni del presidente dell’INPS.
Assieme a quello delle pensioni il tema della riforma e del rilancio delle pubbliche amministrazioni non poteva restare un mero titolo di programma.
Il superamento dei vincoli del patto di stabilità e lo sblocco delle assunzioni, riaffermando il contratto di lavoro di tipo subordinato e a tempo indeterminato quale ordinaria modalità di reclutamento, e l’avvio di una procedura di stabilizzazione per tutte quelle donne e quegli uomini che da anni fanno funzionare servizi importanti per le comunità e che sono precari solo perché precarie sono le modalità di assunzione praticate in questi lunghi anni, per effetto del blocco del turn over e i vincoli legislativi.
Le limitazioni delle esternalizzazioni, quando non l’azzeramento, e poi la lotta ai veri sprechi e alla corruzione nelle pubbliche amministrazioni. L’inserimento delle clausole sociali in tutti gli appalti per tutelare e garantire i lavoratori. Il ripristino della contrattazione a prima dell’introduzione delle norme dell’ex ministro Brunetta, per permettere la partecipazione alle Rappresentanze Sindacali Unitarie sia nei processi di riordino, riorganizzazione, ristrutturazione dei servizi, ma anche come ordinaria pratica di relazioni sindacali che, a partire dall’organizzazione del lavoro, valuti e valorizzi il lavoro e l’efficacia dell’azione di enti e aziende che devono tornare ad essere vissute come proprie dai cittadini e non come il luogo dove attraverso la vessazione dei dipendenti si mortificano nel profondo i diritti delle persone che hanno bisogno di amministrazioni che funzionino e che rispondano con efficacia, trasparenza, competitività e con tempi certi alla domanda di servizi di qualità.
E poi i temi del lavoro. Quello che c’è ma si è impoverito e quello che non c’è più. Il lavoro che manca e che bisogna ricreare per uscire dalla crisi e mettere il nostro paese in condizione di stare adeguatamente nel confronto con il mondo globalizzato e interdipendente. Le politiche industriali e le politiche attive del lavoro, quindi. E ancora l’inclusione sociale e un’attenzione vera e determinata per cancellare definitivamente la parola femminicidio dal nostro vocabolario.
Infine, la funzione universale del contratto collettivo nazionale di lavoro, restituendo ad esso il ruolo di autorità salariale ma anche di pietra miliare dei diritti individuali e collettivi. Riqualificando da qui il secondo livello di contrattazione che, imbrigliato nella logica del risarcimento salariale per l’inadeguatezza del primo livello, ne esce depotenziato, mortificato, inefficace a dare le risposte concrete che servono a lavoratrici e lavoratori alle prese con il lavoro che cambia e che necessita di un costante moto di adeguamento e aggiornamento del proprio organizzarsi.
Discussione e temi impegnativi, certo, ma affrontati finalmente non con la volontà di scrivere un nuovo programma fondamentale, più simile al libro dei sogni nella situazione data. Ogni discussione si è interrogata su come quegli obiettivi sono perseguibili oggi e per l’oggi. In un quadro politico e sociale così complesso e complicato da una crisi che nel nostro paese ha colpito più duro per l’inadeguatezza della politica e dei governi, che l’hanno prima negata e poi piegata alla sola logica della finanza.
IL CONGRESSO NEI POSTI DI LAVORO CI HA MESSO IN EVIDENZA I CARATTERI DEL MONDO DEL LAVORO OGGI.
E’ stato un congresso vero il nostro. L’andare nei posti di lavoro, come ho sentito spesso dire dai delegati nei congressi territoriali, l’essere andati anche in quegli enti dove a lavorare son rimasti in pochissimi, a volte meno di dieci unità (in alcuni piccoli comuni spesso abbiamo parlato con uno o due lavoratori); ecco, l’aver voluto andare anche in un rapporto uno a uno con i nostri iscritti, ci ha permesso di andare oltre le dinamiche congressuali. Ci ha permesso di interrogare e interrogarci su cosa è davvero il mondo del lavoro oggi.
Ci hanno raccontato come è cambiato il rapporto con il proprio lavoro, sempre più frammentato, deresponsabilizzato e individualizzato.
Nelle assemblee forte si è avvertita la preoccupazione per il proprio futuro e la tensione per le condizioni personali e particolari. Più appassionata è stata la discussione proprio sulle questioni che appaiono le più vicine alle proprie condizioni e dimensioni personali, individuali. Lo stesso tema delle pensioni, se ci pensate, è affrontato in questa chiave. Ciascuno ha espresso il proprio consenso esclusivamente per il vantaggio, o il minor svantaggio, che ha intravvisto per sé, per la propria condizione. Ed è anche giusto che sia così.
Così come forte è la preoccupazione per l’incertezza del futuro dei servizi, quando non già per le sorti delle proprie amministrazioni.
ABBIAMO FATTO BENE A PROPORRE COME CATEGORIA NAZIONALE E REGIONALE DEI CONTRIBUTI ALLA DISCUSSIONE
I contributi scritti li trovate nelle vostre cartelle congressuali.
Importante il tema della contrattazione sociale territoriale proposto dalla segreteria nazionale della Funzione Pubblica CGIL. Per noi la contrattazione sociale territoriale è lo strumento di redistribuzione e anche utile a garantire i diritti di cittadinanza sul territorio. Nella nostra regione abbiamo maturato esperienze ed elaborazioni importanti. Le nostre strutture territoriali hanno realizzato importanti sinergie con il livello confederale, con il sindacato dei pensionati e anche con altre categorie. A Cremona sicuramente l’esperienza più avanzata che va valorizzata e rafforzata, può rappresentare un modello di lavoro anche per altri territori.
E poi il contributo della nostra segreteria regionale sulla situazione lombarda, con il necessario processo di riorganizzazione del welfare, anche rivedendo e riqualificando la rete dei servizi sanitari e ospedalieri. Abbiamo scritto nel documento elaborato dalla segreteria regionale uscente – e che dò ormai per letto – che la necessità di rimettere al centro il territorio e restituire la titolarità ai sindaci delle politiche per il benessere e la salute delle comunità è questione centrale dell’approccio con cui per diciotto anni abbiamo contrastato le scelte del governo Formigoni. Ora, che anche la maggioranza di governo si pone l’obiettivo di rivedere quel modello che, a nostro giudizio, ha trasformato il diritto alla salute nel mercato delle prestazioni sanitarie, non possiamo perdere l’occasione di dire la nostra su come si ripristinano obiettivi e funzioni di un sistema di welfare che sia sempre più inclusivo, universale, trasparente e sostenibile.
Un sistema che fa dell’integrazione anche tra modelli organizzativi diversi non un tabù ma una ricchezza che, se regolata, può tornare a frutto e vantaggio di tutti. Dei cittadini, innanzitutto. Di quelli che abitualmente vivono in questa regione come di quelli che qui ci sono arrivati per una prospettiva di vita e di futuro, per sé e per la propria famiglia. E anche per le lavoratrici e i lavoratori, pubblici e privati, che non si accontentano di risposte illusorie e che magari millantano il ritorno a un sistema esclusivamente pubblico quando la realtà gli parla tutti i giorni d’altro.
Per questo sta a noi misurarci con un tema non nuovo ma che oggi diventa decisivo anche per noi. Come si fa a ripristinare una governance sicuramente e convintamente pubblica di un sistema inclusivo e comprendente. Un sistema che sappia mettere in rete soggetti diversi che, se efficacemente orientati da una regìa pubblica, possono essere guadagnati a un’idea di lavoro comune per il bene pubblico.
Per fare questo però serve interrogarsi sullo stato vero di salute delle nostre aziende e amministrazioni pubbliche. Sulla effettiva capacità di modelli organizzativi ancora orientati al comando più che alla prossimità verso i cittadini cui dare risposte certe, trasparenti, inclusive e con tempi certi. Attenzione però, lo diciamo da qui ai nostri interlocutori istituzionali: non accetteremo strumentalità e strumentalizzazioni. Le eccellenze lombarde, che sono vere e riconosciute, il più delle volte sono il frutto del lavoro di operatori che hanno saputo in questi anni dare risposte anche quando le direzioni strategiche le impedivano.
Per questo anche da qui, da questo nostro congresso, rilanciamo la richiesta avanzata ormai da mesi, unitariamente con i colleghi di CISL e UIL, per un confronto vero e a tutto campo con Regione Lombardia. Un confronto che parta dalla condivisione dell’obiettivo di migliorare i servizi per migliorare la vita dei cittadini e il lavoro degli operatori.
Non saremo difensori miopi di ospedali ma sapremo individuare percorsi di riqualificazione di tutti i presìdi, perché essi rappresentano un patrimonio indisponibile delle comunità. In molte zone di questa regione anche il più piccolo presidio ospedaliero rappresenta un pezzo di storia, di lotte e di conquiste di quei territori. Lo è per le comunità montane come per le aree di nobile tradizione contadina nel mantovano, nel cremonese, nel pavese – lodigiano. E lo è per le aree interne alla realtà metropolitana milanese. Contro queste comunità non si porta a casa nessun risultato di ridimensionamento dell’offerta di servizio. Ma proprio per questo ci facciamo interpreti di una precisa volontà: ripartire dalle alleanze più incisive nella storia del nostro paese, tra comunità e operatori, per ridefinire e modellare un sistema adeguato alla domanda di diritti dell’oggi.
Saremo quelli che vorranno parlare di riqualificazione seria delle Aziende Sanitarie Locali. Perché in un progetto di sistema integrato sociosanitario a forte governance pubblica o si parte da funzione e ruolo delle ASL o si stanno truccando le carte. Un sistema che metta in rete e valorizzi quanto oggi è sul territorio. Un sistema che va finanziato nel suo insieme, che superi il dualismo e la concorrenza tra Sanità e Welfare ma si integri sia nei vertici istituzionali sia nei suoi soggetti sul territorio. Troppo si è scaricato sui soggetti deboli del sistema attuale. Le tante crisi, palesi o latenti, del sistema delle RSA stanno lì a dimostrarlo. Troppo facile è stato finora scaricare dalla sanità a questi soggetti interventi e domande di assistenza senza riconoscerne la complessità anche clinica e mantenendo livelli di remunerabilità incomparabili con le prestazioni sanitarie. Se non vogliamo provocare un fallimento totale del sistema attraverso il fallimento delle singole aziende bisogna mettere mano davvero al sistema di finanziamento e alla classificazione di soggetti e prestazioni. A partire dagli effetti della voucherizzazione.
Nel sistema sanitario non ci convince una discussione tutta fondata sulla riduzione dei contenitori senza partire da cosa sono diventate e cosa dovranno essere le nuove ASL.
Noi pensiamo alle ASL come al cuore del sistema territoriale integrato. Ad ASL che dismettano la funzione di acquisto di prestazioni – per fare questo, per contrattare con i privati i volumi di prestazioni, basterebbe un ufficio regionale presso l’assessorato in Palazzo Lombardia. Noi pensiamo ad ASL che restituiscano voce ai cittadini e ruolo ai Sindaci. Troppo penose sono state in questi anni le scene di quei Consigli dei Sindaci chiamati a discutere linee guida impacchettate e date in visione per poche ore, dove la farsa dei documenti di osservazioni generavano ironie quando non rabbia.
Le ASL possono avere funzioni di coordinamento operativo e di programmazione sul territorio, oltre a quelle di controllo, che vanno difese e consolidate, con mezzi, risorse e personale. In un processo di valorizzazione degli operatori e di costante formazione e aggiornamento di competenze e procedure attente ai nuovi bisogni, ai disagi e alla domanda di nuovi diritti inclusivi. E va avviato anche un processo di qualificazione ulteriore, per assolvere a funzioni di coordinamento di attività svolte da soggetti di natura e con mission diverse: altri soggetti del sistema pubblico, privati, il privato sociale.
Le ASL dovranno allora riprendere una funzione più propriamente di servizio, perché solo dalla conoscenza diretta del lavoro è possibile ricavare elementi di conoscenza e valutazione certi per definire e controllare standard di servizio e qualità da richiedere a se stessi e agli altri soggetti non pubblici del sistema.
Ma la Lombardia non è solo sanità e servizi socioassistenziali.
La Lombardia sarà interessata in maniera significativa dai processi di riforma delle amministrazioni pubbliche e dal riordino istituzionale. Abbiamo scritto nel contributo alla discussione congressuale che la nostra è la regione con il maggior numero di comuni (1.544) e con il maggior numero di piccoli e piccolissimi comuni. Per una analisi dei dati rinvio al documento in cartella.
Ho partecipato al congresso territoriale di Pavia e non è un caso se proprio in quel congresso questo tema è stato particolarmente evidenziato. Propongo qui di assumere l’impegno per un’iniziativa regionale in quel territorio sul tema del riordino istituzionale con particolare riferimento alla sorte dei piccoli comuni.
Una iniziativa che dovrà far partire una discussione e un confronto di merito con i cittadini e le istituzioni. Troppo sotto silenzio e con una discussione davvero povera è passata la tornata referendaria in alcuni comuni della nostra regione. Gli esiti di quella consultazione sono stati disparati. La fusione tra enti è stata accettata o bocciata dai cittadini chiamati al voto senza un dibattito pubblico degno dei temi della democrazia e della capacità di garantire servizi che corrispondono ai diritti di cittadinanza. Colpevole l’assenza totale di Regione Lombardia che non è ancora andata oltre la costituzione di una commissione consigliare sul riordino istituzionale dopo la pessima prova della discussione sulle province, sia come organo legislativo regionale sia in sede di Consiglio delle Autonomie Locali.
Noi abbiamo messo in campo un nostro punto di vista nell’iniziativa di un anno fa a Lecco. Mettendo in evidenza difficoltà e possibilità offerte dal processo di associazionismo, aggregazione e anche di vere e proprie fusioni tra comuni. Riteniamo che non possa ritardarsi oltre una riflessione che veda coinvolti istituzioni, cittadini, lavoratori e parti sociali. Anche la CGIL in questo ha da recuperare in fretta una capacità di analisi e di sintesi tra i diversi territori e categorie che non è certo brillata nei mesi scorsi.
E’ fondamentale farlo ora, per non subire gli effetti che anche da expo potranno derivare su una nuova riorganizzazione di funzioni e poteri tra amministrazioni, alla luce delle scadenze per la città metropolitana e il futuro e la sorte delle province. Temi con cui ci misureremo nel brevissimo periodo.
SONO STATI QUATTRO ANNI DIFFICILI PER LA CRISI, MA NON CI SIAMO MESSI IN PARENTESI.
Abbiamo dovuto fare i conti con una situazione per noi inedita. Casse integrazioni, contratti di solidarietà, licenziamenti. Ristrutturazioni aziendali, processi di esternalizzazioni e privatizzazioni, dismissioni di servizi. Per tutte e tutti quanti noi è stato difficile, abbiamo dovuto imparare un vocabolario nuovo e ai più sconosciuto.
Abbiamo contrastato i tagli lineari del governo sulle amministrazioni pubbliche e abbiamo declinato dal punto di vista del lavoro pubblico e dei servizi di pubblica utilità il nostro Piano del Lavoro. Perché non si esce dalla crisi contro il lavoro e rincarando la tassazione su chi vive del proprio lavoro e della sua pensione, ma solo con un grande piano di investimenti pubblici per generare nuova e buona occupazione.
La sanità, l’assistenza, la cura e il decoro delle città e del tessuto urbano, la valorizzazione del patrimonio culturale, artistico, paesaggistico, la difesa e la tutela del territorio, la formazione e l’istruzione – per dirla con una parola, il welfare – può e deve essere il formidabile motore per rilanciare lo sviluppo del nostro paese.
L’intervento pubblico in economia o parte da qui o rischia di diventare l’ennesima occasione per destinare risorse della collettività alla grande industria che ha fatto fallimento per non essere al passo con la competizione tecnologica e l’innovazione.
Per questo non siamo il sindacato della conservazione. Siamo il sindacato delle persone che ogni giorno fanno funzionare lo stato, in ogni sua forma, che sembra voler fare definitivamente un passo indietro. Siamo la rappresentanza delle donne e degli uomini che ogni giorno misurano con la propria azione la farraginosità di procedure che rispondono più alla logica del comando che a quella del supporto a un cittadino che ha bisogno di un servizio pubblico finalizzato al proprio benessere, un’amministrazione pubblica che aiuti un’impresa che nasce o vuole dare un contributo allo sviluppo del territorio.
Siamo la voce di lavoratrici e lavoratori che vivono sulla propria pelle l’inadeguatezza della politica di fronte ai bisogni vecchi e nuovi della società.
Per questo abbiamo lanciato una sfida alla politica, al governo. E siamo riusciti a farlo anche unitariamente, con un lungo lavoro di elaborazione interna e poi di condivisione con le categorie di CISL e UIL.
Dopo aver approvato, a giugno del 2011 e gennaio 2012, i documenti del direttivo nazionale di categoria su contratti e contrattazione e poi, ad ottobre scorso, quello sul riordino istituzionale, siamo ora in presenza di due documenti unitari.
Il 10 ottobre 2013 abbiamo presentato unitariamente il documento sul Riordino del territorio e delle sue istituzioni. In quel documento abbiamo posto il tema di una rivisitazione profonda dell’articolazione e del funzionamento dello stato e del sistema delle autonomie locali.
Superare i doppioni organizzativi e le sovrapposizioni istituzionali su funzioni. Restituire alle Regioni il ruolo legislativo e di coordinamento delle politiche territoriali. Avvicinare i servizi e i decisori ai cittadini. Ma anche una spinta alla fusione dei piccoli comuni perché ci interessano enti che abbiano la forza di essere punto di riferimento dei cittadini per i servizi che organizzano.
Tutto questo è possibile se si riconosce il valore del lavoro e non lo si mortifica.
Per questo diciamo basta al blocco del rinnovo dei contratti nazionali. Che devono essere rinnovati e modificati. Ridurre il numero dei contratti per definirli in ragione del servizio o dell’attività cui sono dedicati e non in ragione dell’associazione datoriale di riferimento. Finora sono nate associazioni datoriali nuove e addirittura adesso ci viene chiesto di fare contratti di primo livello per singole aziende. Questa pratica ha il solo obiettivo di ridurre diritti e retribuzioni di chi lavora. Noi invece vogliamo contratti che ricompongano il lavoro, che riconoscano parità di diritti e salario quando si svolge lo stesso lavoro.
E poi bisogna rinnovare i contratti anche per le parti economiche. Perché non si può far ripartire l’economia se non si fa ripartire la domanda e la domanda parte se le persone hanno fiducia nel futuro e, banalmente, risorse da spendere. E i contratti pubblici sono sempre stati un punto di riferimento anche per il rinnovo dei contratti privati. Infine, non si può divaricare oltre il livello delle retribuzioni tra dipendenti del nostro paese e i colleghi del resto d’Europa.
La nostra vicenda contrattuale più recente, i contratti rinnovati nel 2009 non sono stati rose e fiori. Ricordo i contratti separati delle funzioni centrali. Da noi non firmati. Sottoscritti da organizzazioni che non rappresentano il 50% più uno in quei comparti. Che sono stati bocciati dal referendum dei lavoratori e che però sono tuttora vigenti.
È da questa esperienza che siamo partiti per esprimere il nostro giudizio positivo sul testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio.
Convinti che le regole della rappresentanza servono a dare certezza della esigibilità degli accordi che si sottoscrivono e che sono condivisi dai lavoratori interessati da quegli accordi.
Così come abbiamo espresso un giudizio positivo sul fatto che le sanzioni non riguarderanno i singoli lavoratori, al contrario di oggi che le sanzioni vengono imposte addirittura dalla corte dei conti a carico dei singoli lavoratori componenti di Rsu indicati come rei perché sottoscrivendo accordi decentrati ne hanno beneficiato al pari dei propri colleghi. E il giudizio è positivo anche perché noi rivendichiamo nei confronti dei datori di lavoro, pubblici e privati, la sanzione quando si disapplicano gli accordi deliberatamente e unilateralmente. Le sanzioni tutelano accordi democraticamente condivisi dai lavoratori.
La funzione pubblica ha rappresentato per tutta la Cgil il punto più avanzato per rivendicare le norme sulla rappresentanza. Tutta la Cgil ha assunto la nostra legge come punto di partenza per una legge da far valere in tutto il mondo del lavoro, non senza indicare il superamento di quei punti di criticità che da sempre abbiamo evidenziato e che nel nuovo accordo si risolvono proprio in materia di validazione da parte dei lavoratori e di sanzioni da togliere dalla unilateralità e discrezionalità delle controparti.
Da li si è partiti quando si è cominciata una trattativa in salita. Che ha prodotto due accordi. Che ha visto il coinvolgimento dei lavoratori e la condivisione dell’intero gruppo dirigente. E che dovrà vedere il pronunciamento di tutto il mondo del lavoro perché la rappresentanza, le regole che stanno alla base delle relazioni sindacali non possono essere appannaggio esclusivo di una categoria. Ma riguardano e difendono il ruolo e la funzione delle organizzazioni di rappresentanza del lavoro.
Per questo nei prossimi giorni e fino al 2 aprile siamo impegnati per far esprimere tutti i nostri iscritti sull’accordo del 30 maggio 2013 e sull’accordo del 10 gennaio scorso. Sia quelli che lavorano in aziende che afferiscono a confindustria e confservizi, con cui abbiamo sottoscritto già l’accordo, sia quelli che lavorano in aziende non di confindustria e nelle amministrazioni pubbliche, perché noi vogliamo e chiediamo l’estensione dell’accordo sulla rappresentanza a tutto il mondo del lavoro e perché più ampio sarà il consenso su quegli accordi più forte sarà la nostra richiesta perché il parlamento approvi in fretta una legge sulla rappresentanza che rimane il nostro obiettivo strategico.
E avere un accordo sulla rappresentanza, in attesa di una legge, è utile a scrivere regole per far ripartire i contratti e la contrattazione. Rinnovare i contratti e contrattare l’organizzazione del lavoro sono state le richieste più pressanti in queste settimane. Senza regole tutto è più difficile. Fare accordi e contratti per migliorare le condizioni di chi vogliamo rappresentare rimane la sola ragion d’essere di un sindacato. Un sindacato che fa del conflitto il fine e non lo strumento per spingere verso il cambiamento è un sindacato che si mette sulla deriva che ha portato la politica lontano dai cittadini.
Sarebbe una grave colpa nei confronti di quanti guardano a noi con fiducia e interesse.
Abbiamo scelto, tutti assieme, di fare un congresso diverso da quelli precedenti. Che affrontasse i temi veri che ci propongono i lavoratori dai posti di lavoro.
La necessità di sapere cosa si fa domani mattina, come restituiamo dignità al lavoro, come riavviciniamo i cittadini ai servizi pubblici.
E non è credibile un’azione riformatrice e di ammodernamento delle pubbliche amministrazioni senza procedere alla stabilizzazione di quanti già oggi fanno funzionare i servizi e sono precari solo perché questa è rimasta la sola modalità di reclutamento nelle amministrazioni pubbliche.
In Lombardia dovremo regolarizzare le posizioni delle centinaia di precari che ancora operano nelle nostre aziende ed enti, a partire dalla sanità. Con Regione Lombardia, anche dopo le stabilizzazioni, avremo da avviare un piano di assunzioni per rispondere al fabbisogno di aziende con organici all’osso. Dove si continuano a richiedere salti dei turni di riposo, turni sempre più massacranti, prestazioni di lavoro straordinario senza remunerazioni, dove i carichi di lavoro aumentano.
E invece Regione Lombardia si attarda a parlare, in sanità, di riduzione delle Rar senza vedere che da qui a pochi mesi l’intera regione sarà invasa da 20 milioni di persone che arriveranno da ogni parte del mondo per i sei mesi di Expo. E in quell’occasione dovremo avere servizi sanitari e di assistenza in grado di funzionare per tutti, e non con i tempi che oggi registriamo nei pronto soccorso e tantomeno con il disastro che si sta compiendo sull’intero comparto dell’emergenza e urgenza che vede ancora in queste ore la protesta dei tanti precari della croce rossa per i quali non c’è futuro.
Expo può diventare l’evento che distrugge definitivamente la reputazione del nostro paese o l’occasione per il sistema pubblico di migliorare se stesso e mostrare una amministrazione davvero utile ad attrarre anche investimenti stranieri. Per fare tutto questo ci vogliono risorse.
Il governo Renzi ha ottenuto la fiducia in Parlamento. I giornali hanno enfatizzato il nuovo stile del sindaco di Firenze. Bisognerà passare in fretta dagli effetti speciali a un programma di investimenti certi e precisi. Passare dalle promesse agli impegni certi.
L’annunciata riduzione del cuneo fiscale a due cifre più il pagamento dei debiti alle imprese da parte delle amministrazioni pubbliche ha un costo stimato in circa 70 miliardi di euro. Non si dice da dove si recuperano le risorse per far diventare queste promesse impegni seri. La proposta che da tempo la Cgil fa di prendere i soldi laddove sono, tassando i grandi patrimoni e le rendite, viene osteggiata anche dalla nuova maggioranza di governo.
Aspetteremo di giudicare le prime cose concrete non senza ribadire che non si esce dalla crisi con la sola riforma elettorale e il superamento del senato. E che non si esce dalla crisi con la massima rappresentanza delle imprese cooperative e la grande industria nelle stanze del governo senza rilanciare il confronto con la rappresentanza del lavoro, con il confronto di merito e vero con il sindacato.
E credo che anche dai nostri congressi possa venire un impegno preciso perché si avvii da subito un confronto col governo per superare la legge Fornero sulle pensioni e le leggi Brunetta sulla contrattazione nelle amministrazioni pubbliche.
Per ora le dichiarazioni dei nuovi ministri e i proclami sulle semplificazioni e la dirigenza della pubblica amministrazione non sono facilmente decifrabili.
Anche il nostro modo di discutere, anche in maniera appassionata, delle condizioni del paese oggi e di come lo vogliamo cambiare a partire dalle cose concrete da fare, quelle che abbiamo scritto nel documento congressuale, saranno utili a presentare a questo come ad ogni governo, per l’oggi e per l’immediato futuro, un programma preciso di impegni concreti, in favore del lavoro e delle persone che vivono del lavoro, per uscire dalla crisi, davvero. E su questo, sul livello di condivisione o di vicinanza tra le nostre proposte e quelle che il governo e il parlamento vorranno darsi, valuteremo ed esprimeremo il giudizio sul governo, sui suoi ministri, sul presidente del consiglio.
Il resto sarà solo spot, ma con gli spot il mondo del lavoro non va avanti, le tante domande di futuro delle lavoratrici e i lavoratori non trovano risposte.
Per questo dovremo avere la capacità e l’intelligenza per portare tutta assieme la forza del lavoro sul nuovo cammino, che riparta dalla contrattazione per ridurre la povertà del lavoro e nel lavoro e le disuguaglianze che sempre più forti sono diventate in questi anni.
UN’ORGANIZZAZIONE DI DONNE E UOMINI, GIOVANI E MIGRANTI, PER IL CAMBIAMENTO
In questi quattro anni abbiamo fatto tanto lavoro, nei territori, a livello regionale, la nostra categoria nazionale.
Per quanto di nostra competenza abbiamo avviato un processo di messa in sicurezza della categoria sia nella sua struttura regionale sia in ciascuno dei quattordici comprensori. Abbiamo realizzato l’obiettivo della canalizzazione automatica delle risorse da e verso i territori. Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che i territori sono il vero fondamento della nostra organizzazione. Al territorio devono rimanere le maggiori risorse perché è lì che si determina l’efficacia o meno della nostra azione. E’ sul territorio, all’interno del proprio posto di lavoro, che un lavoratore guarda a noi e può dare credito alla nostra organizzazione. Per la capacità che abbiamo di stare in campo, quotidianamente, sul suo pezzo e non su quello che vogliamo imporre noi, magari perché più noto e comodo. E siamo partiti dalle risorse perché siamo convinti che non c’è autonomia politica se non si realizza l’autonomia organizzativa, di ciascuna struttura così come per l’intera organizzazione.
E poi abbiamo cercato di dare un senso all’organizzazione di livello regionale, proprio perché in funzione del territorio, di tutti i territori, perché ciascuno è un pezzo fondamentale per la vita e la buona efficacia dell’altro.
Era questo il senso del mio primo intervento da segretario generale della Funzione Pubblica CGIL Lombardia il 5 marzo di quattro anni fa. Costruire la rete dei territori e mettere a disposizione del progetto di consolidamento e rafforzamento di ogni struttura territoriale quella regionale.
Abbiamo avviato un percorso complesso ma importante. Confesso che la necessità di produrre un cambiamento reale nell’organizzazione è lo stimolo più grande per la mia azione quotidiana. Senza questa tensione ideale difficilmente si potrebbero superare anche le difficoltà che ogni giorno percorrono il nostro cammino.
Assieme all’attenzione verso i territori la necessità di rendere la nostra organizzazione più permeabile alle nuove forme del domandare e conquistare rappresentanza. Dei giovani, delle donne, dei migranti. Troppo spesso il nostro gruppo dirigente non vede o vede con occhiali che oscurano le tante potenzialità che pure abbiamo nel nostro corpo più profondo di delegate e delegati, di iscritte e iscritti, di persone in carne ed ossa che solo quando gli dimostri, con poco, che sei interessato a lei o a lui, ti dimostrano che stavano aspettando proprio quel gesto, quell’attenzione, per dare all’organizzazione molto di più di quanto ciascuno di noi poteva immaginarsi.
Ci siamo aperti ai tanti mondi dell’oggi. Lo abbiamo fatto ripensando alle nostre forme del comunicare. Una ricerca che non è mai compiuta una volta per tutte. Oggi la Funzione Pubblica CGIL Lombardia è un nodo importante della rete. Il nostro sito istituzionale, sempre in evoluzione, il quotidiano on line e la newsletter settimanale, la pagina Facebook e la presenza su Twitter, i canali You tube e quant’altro la nostra preziosa Tiziana ha saputo intercettare. Da ciascuno di questi rivoli ogni giorno sgorga una piacevole sorpresa. Contatti che diventano riferimenti importanti e concreti, nei luoghi di lavoro e per le nostre strutture, talvolta travalicando i confini fisici del nostro territorio.
Da lì son partite domande e sfide nuove per la nostra organizzazione. Ma anche tante opportunità. A distanza di sedici mesi dal primo numero di PubblicAzione on line, oggi non solo abbiamo una platea di nostri lettori abituali inedita e sempre più numerosa, ma abbiamo avuto l’opportunità di scoprire modi nuovi di fare sindacato, dentro e fuori i posti di lavoro. Oggi possiamo avvantaggiarci tutti di alcune collaboratrici importanti, giovani, fresche, di posto di lavoro. Compagne a cui va il nostro ringraziamento per il prezioso lavoro che stanno facendo anche in queste ore per portare fuori di noi la voce di chi rappresentiamo. Quella voce che non fa audience se non siamo noi a metterla in rete.
E poi abbiamo dato corpo e forma alla nostra necessità di non guardare mai la punta dei nostri piedi ma guardare oltre. Aprire e aprirci a confronti con realtà diverse ma simili. Abbiamo incontrato numerose organizzazioni sindacali come la nostra nel resto d’Europa e non. Con loro ci interroghiamo e studiamo soluzioni per risolvere i problemi dei lavoratori che organizziamo e rappresentiamo e anche quelli più propriamente di organizzazione. Ancora pochi giorni fa ho avuto modo di partecipare ad una importante riunione a Stoccolma sui temi del reclutamento e dell’organizzazione dei sindacati dei servizi pubblici nell’Europa della crisi e delle diseguaglianze. Posso dire che è un motivo di orgoglio per tutte e tutti noi se oggi si guarda alla Lombardia non solo come uno dei quattro motori d’Europa secondo i canoni di Formigoni prima e di Maroni oggi ma anche dal punto di vista delle organizzazioni di rappresentanza del lavoro nei servizi pubblici, con le proprie eccellenze, i propri problemi, le prospettive da condividere. E ringrazio qui Nino per aver permesso in questi anni alla Funzione Pubblica di essere stata parte importante delle attività internazionali della CGIL Lombardia, e Rossana che ha sempre apprezzato e valorizzato il nostro essere attenti, a volte anche testardamente, a cosa si muove fuori di noi, permettendoci di partecipare ad importanti iniziative internazionali, con nostre delegate e delegati di posto di lavoro. Nel documento in cartella vi abbiamo presentato un report puntuale sulle nostre attività di questi quattro anni, ne ricordo qui solo alcuni: la conferenza di Malaga nel 2010 sui servizi pubblici e i migranti nel bacino del Mediterraneo e poi sulla fiducia, la cooperazione e la responsabilità dei dipendenti pubblici, in collaborazione con i sindacati pubblici di Spagna e Portogallo per il lavoro di ricerca dell’Università di Valencia.
L’incontro con l’Università è stato un altro punto di riflessione di questi anni. Da tempo ci interroghiamo su come aprire la nostra organizzazione ai giovani. Stare nelle reti è un formidabile veicolo ma non sempre risolve il problema di un ricambio generazionale dei nostri quadri attivi e dirigenti. I giovani chiedono spazi prima ancora che di essere rappresentati. La Funzione Pubblica e la CGIL devono aprirsi e offrire spazi ai giovani e lasciare che siano essi stessi a decidere le forme della loro militanza e ad autorappresentarsi. Ma per fare questo bisogna anche far conoscere il sindacato. Quante volte nelle assemblee di lavoratrici e lavoratori in questi anni abbiamo sentito la lamentazione di nostre iscritti e nostri iscritti perché i giovani, i propri figli, non si interessano di politica, non guardano al sindacato. Quante volte quei pochi giovani che entrano nelle nostre amministrazioni e aziende ci diciamo che sono un problema perché non si interessano all’attività delle RSU e del sindacato. E allora la CGIL, il sindacato, ha un problema serio che si chiama conoscenza. Sia il deficit di conoscenza dei mondi fuori di sé, sia il deficit di conoscenza che hanno quei mondi del sindacato.
L’Università può essere un formidabile bacino per rendere possibile questo scambio tra giovani e sindacato. Permettere a giovani laureandi o neolaureati di conoscere il sindacato, la sua organizzazione, il suo lavoro di rappresentanza, tutela e contrattazione, è un’occasione da non sottovalutare e non lasciarsi scappare. Esperienze prima di noi sono state realizzate qua e la nell’organizzazione come a Brescia. Come Federazione regionale abbiamo finalmente realizzato una convenzione strutturata con l’Università di Verona per permettere a studenti o neolaureati di venire per un periodo a fare un’esperienza di conoscenza e apprendimento sul campo. Un’esperienza che in questi mesi stiamo realizzando in particolare proprio sul lavoro della comunicazione e dell’informazione che sta dando ottimi frutti.
Dicevo prima che abbiamo presentato il report delle attività di questi quattro anni. Da quelle pagine si può capire il valore e l’importanza di una organizzazione che non può e non vuole fermarsi davanti alla crisi. Un’organizzazione che grazie al lavoro di tutte e tutti i delegati, i funzionari, i segretari territoriali e quelli regionali ma anche grazie al lavoro materiale di Mirko e Cristina, ha raggiunto livelli di iniziativa importanti utili alla realizzazione di risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Ricordo qui solo l’ottimo risultato conseguito nel 2012 con il voto per le elezioni delle RSU nei comparti pubblici e poi ripetuto a novembre scorso per l’elezione delle RSU e i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nelle aziende di igiene ambientale. Risultati che ci dicono della credibilità che la Funzione Pubblica CGIL ha oggi tra le lavoratrici e i lavoratori dei comparti pubblici e privati che organizziamo.
E’ questa la rappresentazione plastica di quello che siamo. Sarebbe buona cosa che ciascuno di noi ricordasse in ogni momento tutto questo.
Abbiamo passato questi quattro anni insieme. Ricostruendo rapporti e relazioni, tra persone e tra strutture. Abbiamo cercato di fare entrare un po’ più Funzione Pubblica nella CGIL perché abbiamo dimostrato di essere pronti a fare entrare più CGIL nella nostra categoria. Con il confronto, con la pratica quotidiana, condividendo problemi e soluzioni. Credo sia importante riaffermare qui il valore decisivo della Confederazione e della confederalità. Perché, come abbiamo detto, dalla crisi non si esce mai da soli e ci piace un mondo del lavoro che si ricompone. Per questo non mi trova disponibile un modo di ragionare, di confrontarsi, di misurarsi, che finisce per anteporre l’esclusività del particolare alla forza del generale.
Per quanto sarà nelle mie possibilità questo rimarrà un punto fondamentale del mio operare.
Vi ringrazio per l’attenzione