A Milano la Fp Cgil ha organizzato nei giorni scorsi la prima assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi di emergenza urgenza. Amati: “Esiste un grande bisogno di organizzazione della categoria e di riconoscimento sociale ed economico delle figure professionali”. Guarneri: “i lavoratori dipendenti sono facilmente ricattabili perché intercambiabili dal sistema del volontariato”
17 giu. – Durante i mesi di lockdown, il silenzio surreale delle strade di Milano, come quelle del resto della regione, è stato rotto dalle sirene delle ambulanze. In quei momenti, i pensieri di tutti noi andavano ai pazienti in condizioni critiche, ma quei mezzi in corsa, però, sono anche il luogo dove alcune lavoratrici e lavoratori hanno affrontato l’epidemia da Covid-19, per primi e in condizioni di estrema precarietà.
Nei mesi dell’emergenza i soccorritori delle “croci” e delle associazioni del servizio sanitario di emergenza e urgenza sono stati in prima linea per contenere il Coronavirus. Come tutti gli operatori sanitari, hanno patito grandi carichi di stress e si sono assunti rischi enormi operando in contesti meno protetti e controllati. Eppure la loro professionalità non è riconosciuta ed è poco tutelata. Per questo motivo, lo scorso 11 giugno, la Funzione Pubblica CGIL di Milano ha organizzato un’assemblea degli operatori dei servizi di primo soccorso della provincia milanese.
“L’iniziativa è nata dalla richiesta di alcuni delegati di associazione e ha trovato un riscontro importante con una trentina di partecipanti. – spiega il funzionario Maurizio Amati, che ha coordinato l’assemblea -. Esiste un grande bisogno di organizzazione della categoria e di riconoscimento sociale ed economico delle figure professionali legate al primo soccorso; le condizioni in cui i soccorritori milanesi hanno operato durante il lockdown lo ha reso ancora più urgente”. Durante l’emergenza, infatti, molti soccorritori sono entrati in contatto con pazienti positivi al Covid-19, ma nessuno ha fatto loro né il tampone né il test sierologico. Inoltre, in molte associazioni, a dispetto di quanto stabilito per legge, il lavaggio delle divise, oggi un possibile veicolo di contagio, è a carico del dipendente. E ancora, le “colonnine”, gli stalli stradali dove le ambulanze attendono le chiamate, sprovviste di ogni servizio, rappresentano un rischio per la salute dei lavoratori di fatto “abbandonati” in strada dalle 7.30 alle 23.30. Infine, i soccorritori sono costretti a cambiarsi e sanificare i mezzi nei parcheggi degli ospedali. La FP CGIL Milano chiederà alle associazioni di garantire condizioni di sicurezza sul lavoro più adeguate.
Durante l’assemblea è emerso il bisogno di dare un riconoscimento legale alla figura dell’Autista Soccorritore – tema che vede la categoria impegnata a livello nazionale -, con una formazione adeguata al ruolo e alle responsabilità. Le lavoratrici e i lavoratori hanno proposto di creare la figura del Tecnico del Soccorso. Poi c’è il tema del contratto: la categoria è disciplinata da molti contratti diversi che vanno dalla Cooperazione sociale ai contratti per singole organizzazioni (Misericordie e AVIS, per esempio). Questo non solo determina un’inaccettabile condizione di disparità, ma rende anche molto difficile la tutela del personale nelle situazioni di difficoltà economica per quelle strutture, la maggior parte, per le quali il servizio di emergenza è la fonte principale di introito.
“I disegni di legge per dare a questi lavoratori il giusto riconoscimento ci sono – spiega Isa Guarneri, segretaria del comparto sanità della FP CGIL Milano – ma non procedono nel loro iter parlamentare per via delle pressioni delle organizzazioni che rappresentano le associazioni. Tutti i contratti, poi, scontano un fortissimo dumping, le associazioni sono poco sindacalizzate: i lavoratori dipendenti sono facilmente ricattabili perché intercambiabili dal sistema del volontariato che ruota intorno ai servizi di emergenza-urgenza”. (Matteo Palma)