
Intervista a Giorgio Barbieri, coordinatore Fp Cgil Medici di Medicina Generale Lombardia
24 giu. 2025 – La carenza di medici di base, si sa, è ormai cronica. In Lombardia, la regione con la maggiore scopertura d’Italia, migliaia di cittadine e cittadini restano senza un punto di riferimento per la propria salute. I bandi per la formazione vanno deserti, i giovani evitano questa professione. Una riforma concreta, fattibile, delle cure primarie è quantomai necessaria. Le Regioni hanno presentato una proposta articolata. Ma per la Fp Cgil Medici di Medicina Generale servono scelte più nette.
Ne parliamo con Giorgio Barbieri, coordinatore Fp Cgil Medici di Medicina Generale Lombardia
Fp Cgil ha definito il documento delle Regioni per riformare le cure primarie un passo avanti ma non ancora abbastanza in termini di investimento contrattuale e formazione.
“Non è possibile fare una riforma delle cure primarie e quindi del ruolo dei medici di medicina generale senza affrontare la questione anche dal punto di vista contrattuale. Serve coraggio, e il punto chiave è uno: assumere anche i medici di medicina generale nel Servizio Sanitario Nazionale, esattamente come gli altri medici. Basta con la convenzione, basta con il modello che ci lascia isolati, senza tutele, senza orari, senza strumenti. La riforma può funzionare solo se si passa all’assunzione, se si rinnova la formazione e se l’organizzazione del lavoro torna ai distretti. E se si smette di pensare che ciascuno debba arrangiarsi come può. In Lombardia, ad esempio – spiega il medico sindacalista -, le Case di Comunità rischiano di rimanere scatole vuote. Non ci sono abbastanza medici, infermieri, specialisti. Non c’è una rete, né un’organizzazione effettiva. I medici di base, se ci sono, continuano a lavorare da soli. È evidente: non si può costruire un sistema nuovo lasciando i professionisti, di fatto, fuori dalla porta. Se non ci saranno interventi strutturali, urgenti e seri questo lavoro verrà a mancare. Non vorremmo avere la stessa sorte di Cassandra: non essere creduti ma poi la profezia si avvera. Le nostre preoccupazioni hanno fondamento e bisogna fare attenzione da subito a questi problemi”.
Da anni chiedete il passaggio dalla convenzione al contratto della dirigenza del Ssn. In che modo questo cambiamento migliorerebbe concretamente le condizioni di lavoro dei medici di famiglia e l’assistenza per le cittadine e i cittadini?
“Oggi siamo liberi professionisti solo sulla carta. In realtà, abbiamo obblighi da dipendenti ma tutele da nessuno. Se diventiamo dirigenti del Ssn pubblico, si potrà finalmente pianificare il servizio: decidere quanti medici servono in una zona, dove collocarli, con quali orari e strumenti. Deve tornare in campo il governo clinico, vanno riattivati i programmi di diagnosi precoce, recentemente addirittura scomparsi tra gli obiettivi di governo clinico regionale. Allora non ci saranno più pazienti senza medico, studi medici improvvisati, sostituzioni a spese nostre. Oppure una attività lasciata al libero arbitrio del singolo medico di base. E la medicina tornerà a essere presa in carico vera, ad avere tempi adeguati per ascoltare e visitare, meno ore passate a rincorrere ricette elettroniche e burocrazia”.
La proposta di trasformare la formazione in una vera specializzazione universitaria è una delle priorità della Fp Cgil. Cosa serve per renderla operativa, e perché oggi non basta il modello attuale?
“Serve una scelta politica chiara. Il corso attuale è sempre più ridicolo, si fa scuola lavoro dal primo giorno, andando subito in studio, non c’è una specializzazione né un titolo riconosciuto equipollente e quindi non si può cambiare percorso. È un vicolo cieco. I giovani lo sanno e, sempre più, lo evitano. Non è più tollerabile che i medici di medicina generale non possano specializzarsi – rimarca Barbieri -. La scuola di specializzazione va fatta assolutamente, una scuola di medicina generale universitaria, con formazione e tirocinio seri, riconoscimento pieno, come per tutte le altre branche mediche. Anche perché, continuare a sbeffeggiare il nostro lavoro come di serie B, caricandolo di attività burocratiche a scapito di quelle cliniche, ne abbassa sempre di più la qualità, a danno dell’utenza”.
Un altro vostro puntello è l’abolizione della quota capitaria. Perché?
“L’abolizione della quota capitaria, quel sistema cottimista che paga il medico di famiglia a paziente e non per il lavoro svolto, è per noi irrinunciabile. Questo modello perverso ha spinto i professionisti ad accumulare pazienti per guadagnare di più, trasformando la cura in un numero e degradando la professione. Lo abbiamo visto in Lombardia, dove ha generato il peggior rapporto medico/paziente d’Italia (di media 1/1529 al 1° gennaio 2024, fonte Sisac – ndr), una vergogna che abbiamo denunciato e portato in tribunale. La condanna c’è stata, seppur tardiva – prosegue -. Ribadisco: non possiamo basare la sanità pubblica sulla libera scelta dei medici. Vaccinazioni, screening, prevenzione: sono servizi essenziali che oggi restano a discrezione. È un’assurdità che disorganizza e lascia scoperte fasce di popolazione. Vogliamo la retribuzione oraria: il medico deve essere pagato per le ore di lavoro e sulla base di obiettivi programmati: chiari e misurabili, con un impegno certo e strutturato all’interno del Servizio sanitario nazionale, nelle Case della Comunità. Così si garantiranno i servizi indispensabili, si assumeranno i medici dove servono, e si ridaranno dignità e tutele a una professione che, altrimenti, continuerà a morire per via di un sistema che l’ha deliberatamente smantellata pezzo dopo pezzo”.
Siete contrari all’accreditamento del ruolo del medico di medicina generale. Cosa temete da questa impostazione e quali rischi vedete, soprattutto in una regione come la Lombardia dove il pubblico e il privato sono considerati equivalenti?
“L’accreditamento significa una cosa: trasformare il servizio pubblico in un mercato. Cooperative private che gestiscono le Case di Comunità, medici assunti con contratti tutti diversi, senza garanzie, senza regole comuni. In Lombardia lo abbiamo già visto: il privato è ovunque, spesso prima del pubblico. Se questa impostazione passa, la medicina generale smette di essere un diritto universale. Diventa un servizio a richiesta, gestito da chi ci guadagna di più. Già il fatto che sia stata fatta la proposta dalla Conferenza delle Regioni è allarmante – considera il coordinatore Fp Cgil Mmg Lombardia -. In Liguria, sono già stati dati in appalto interi ospedali pubblici a gruppi privati (Albenga, Bordighera, Cairo Montenotte). La differenza con la Lombardia è che qui i privati gli ospedali se li costruiscono e poi si accreditano. Come dico sempre, è lo Stato che sta abdicando al suo dovere, affidando la gestione a terzi. Ed è più che legittimo, dunque, il timore che questo sistema, già applicato alle cure secondarie (ospedali), possa essere traslato sulle cure primarie, portando ad affidare la gestione delle Case della Comunità a cooperative o società private”.
Dichiarazione finale?
“Una società che ha bisogno di santi e di eroi, è una società in profondissima crisi.
È davvero stucchevole, e francamente non più tollerabile, che ancora qualcuno pensi serva il medico “disponibile” o si creda possibile che un sistema così complesso come è il servizio sanitario nazionale regga su professionisti volenterosi o – peggio – missionari. Concezione molto romantica e – in quanto tale – altrettanto pericolosa. Un servizio pubblico deve essere organizzato e strutturato perché funzioni efficacemente ed efficientemente, del tutto indipendentemente dalla buona volontà di chi vi lavora.
Affidarlo alla speranza di poter contare su qualcosa di tanto volubile come la generosità, l’altruismo, l’etica, il senso del dovere, è una pericolosissima scommessa, che – alla prova dei fatti – non garantisce affatto il risultato”.